X
<
>

Condividi:
5 minuti per la lettura

 

Reggio Calabria –  Sono tutti capigruppo in carica o ex capigruppo i dieci politici indagati dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria nell’ambito dell’inchiesta sui rimborsi illeciti ottenuti dai consiglieri regionali dei gruppi di Palazzo Campanella negli anni che vanno dal 2010 al 2012. Una notizia che è in linea con la decisione dei magistrati di procedere per gradi, partendo dall’accusa madre per poi sviluppare eventuali altre ipotesi di reato. La prima contestazione, come più volte sottolineato nei giorni scorsi, è quella di «peculato». Un reato che può essere imputato al pubblico ufficiale che gestisce in maniera diretta il denaro e che commette reato quando questo viene distratto e sottratto per finalità diverse da quelle cui è destinato. Ovvio quindi che a finire sulla graticola siano i direttori amministrativi e i capigruppo dei gruppi regionali. I primi perchè firmano i bilanci, gli altri perchè praticamente assegnano le somme ai consiglieri regionali che chiedono rimborsi o contributi per le spese sostenute nell’ambito delle attività che dovrebbero essere di natura politico-istituzionale. Il fatto che ad essere indagati siano i capigruppo non significa tuttavia che si tratti di persone certamente responsabili di peculato. In questo senso i magistrati (l’inchiesta è condotta dal Procuratore facente funzioni Ottavio Sferlazza e dal sostituto Matteo Centini) avrebbero voluto questo primo step investigativo proprio per poter andare avanti nell’inchiesta in maniera più precisa possibile.
Nella sostanza è successo che i finanzieri del Comando provinciale di Reggio Calabria si siano trovati per le mani carte che dimostrano come alcune spese siano state rimborsate in maniera illegittima, perchè non riferibili alle attività politico-istituzionali proprie dei gruppi politici della Regione. E’ il caso ad esempio dei “Gratta e Vinci”, dei biglietti della lap dance, dell’acquisto di vini, delle fatture per detersivi, materiali elettrici e moltissimi viaggi. Ora, a partire da questo dato gli inquirenti si sono trovati a dover definire i reati commessi individuando tutte le responsabilità. In alcuni casi ci potrebbe essere la responsabilità piena e consapevole del capogruppo e del tesoriere che avrebbero commesso, appunto, il peculato. In questo caso il consigliere regionale che ha “goduto” dell’illegittimo rimborso potrebbe essere accusato di «concorso in peculato». Tanto per fare un esempio sarebbe il caso dei “Gratta e Vinci”. In effetti è difficile ritenere che chi ha consentito il rimborso lo abbia fatto in buona fede. Ed infatti vi sarebbe una responsabilità oggettiva, quando non complice, di capogruppo e direttore amministrativo.
Ma nella marea di episodi su cui stanno lavorando finanzieri e magistrati potrebbe esserci anche dell’altro. Poniamo che il consigliere regionale abbia chiesto un rimborso che in termini generali sarebbe legittimo, ma che lo abbia fatto presentando fatture e scontrini falsi. In questo caso non è detto che tesoriere e capogruppo siano stati consapevoli. Piuttosto potrebbero essere stati raggirati dal politico ed avere agito in buona fede. Da qui per dire che gli inquirenti non escludono di poter contestare al consigliere regionale autore del raggiro l’accusa di truffa. Un reato che scagionerebbe i responsabili della contabilità del gruppo, facendo ricadere sul singolo politico l’eventuale colpa.

REGGIO CALABRIA –  Sono tutti capigruppo in carica o ex capigruppo i dieci politici indagati dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria nell’ambito dell’inchiesta sui rimborsi illeciti ottenuti dai consiglieri regionali dei gruppi di Palazzo Campanella negli anni che vanno dal 2010 al 2012. Una notizia che è in linea con la decisione dei magistrati di procedere per gradi, partendo dall’accusa madre per poi sviluppare eventuali altre ipotesi di reato. La prima contestazione, come più volte sottolineato nei giorni scorsi, è quella di «peculato». Il fatto che ad essere indagati siano i capigruppo non significa tuttavia che si tratti di persone certamente responsabili di peculato. In questo senso i magistrati (l’inchiesta è condotta dal Procuratore facente funzioni Ottavio Sferlazza e dal sostituto Matteo Centini) avrebbero voluto questo primo step investigativo proprio per poter andare avanti nell’inchiesta in maniera più precisa possibile. In alcuni casi ci potrebbe essere la responsabilità piena e consapevole del capogruppo e del tesoriere che avrebbero commesso, appunto, il peculato. In questo caso il consigliere regionale che ha “goduto” dell’illegittimo rimborso potrebbe essere accusato di «concorso in peculato». Tanto per fare un esempio sarebbe il caso dei “Gratta e Vinci”. In effetti è difficile ritenere che chi ha consentito il rimborso lo abbia fatto in buona fede. Ed infatti vi sarebbe una responsabilità oggettiva, quando non complice, di capogruppo e direttore amministrativo.Ma poniamo che il consigliere regionale abbia chiesto un rimborso che in termini generali sarebbe legittimo, ma che lo abbia fatto presentando fatture e scontrini falsi. In questo caso non è detto che tesoriere e capogruppo siano stati consapevoli. Piuttosto potrebbero essere stati raggirati dal politico ed avere agito in buona fede. Da qui gli inquirenti non escludono di poter contestare al consigliere regionale autore del raggiro l’accusa di truffa. Un reato che scagionerebbe i responsabili della contabilità del gruppo, facendo ricadere sul singolo politico l’eventuale colpa.

 

IL SERVIZIO COMPLETO E GLI APPROFONDIMENTI, SULL’EDIZIONE CARTACEA DEL QUOTIDIANO ACQUISTABILE IN EDICOLA E ONLINE

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE