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COSENZA – Lo scontro è sotterraneo ed è sulle regole. E come tutte le battaglie dentro il Pd calabrese la partita si gioca a Roma. In queste ultime settimane si registra un “pellegrinaggio” sulla tratta ferroviaria Paola-Roma Termini. Un’attività frenetica perché in queste ore si stanno decidendo le regole congressuali e sta prendendo corpo l’ipotesi di anteporre i congressi provinciali e regionali con quelli nazionali. Un modo, forse, per prendere tempo e capire il destino del governo Letta alle prese con le condanne del Cavaliere e la riforma della giustizia. Intanto la Calabria deve scegliere e se qualcuno immagina che il segretario del Pd nasca da un accordo locale, questa volta è fuori pista. Come da tradizione i “capi-bastoni” (come li definisce Fabrizio Barca) sono tutti in fila indiana dietro la porta dei rispettivi capi-corrente per cercare una sponda politica alle manovre congressuali calabre. E non si esclude che nel momento delle ufficializzazioni dei candidati alla segreteria nazionale, i militanti si ritroveranno i “camaleonti” dirigenti calabresi posizionati su sponde inimmaginabili. Del resto nel 2009 con Bersani si schierò quasi tutta la dirigenza locale, sono una piccola riserva indiana era con Franceschini più per scelta tattica che politica (bisognava contarsi). Nel pd calabrese, da tre anni non si trova un’intesa, c’è una sorta di sfiducia reciproca tra i big. Se fino a due anni fa, dopo la sconfitta elettorale delle regionali, era la figura di Agazio Loiero ad essere l’alibi per rompere, ora che l’ex governatore ha sgomberato in campo, quella scusa non sta più in piedi. Andando indietro al 2007, il quadro di famiglia del primo Pd calabrese aveva trovato in Marco Minniti, unico leader riconosciuto a livello nazionale, la figura di equilibrio tra i maggiorenti. Minniti riuscì nell’impresa, ad esempio, di far coesistere Adamo con Lo Moro dopo due anni di scontri in giunta e Loiero con il resto della Margherita dopo la scissione nel 2006. Una “pax politica” che è durata una stagione, l’avvento di Walter Veltroni ha fatto riaffiorare vecchi rancori e la sconfitta alle politiche del 2008 e tutto quello che ne è conseguito, ha fatto il resto. Quel Pd si è sfasciato ancora prima delle elezioni regionali, e a Caposuvero aveva trovato un’altra “pax” preceduta con la scelta di Carlo Guccione alla guida del partito. Quest’ultima intese è stata promossa principalmente da Mario Oliverio e Agazio Loiero sui cui poi hanno convenuto tutti gli altri a partire da Adamo e Bova. Un’intesa durata questa volta un week end. La foto di famiglia del primo Pd era composta dai big dei Ds come Mario Oliverio, Nicola Adamo, Peppe Bova che erano i veri azionisti di riferimento, poi a seguire c’erano Doris Lo Moro, Franco Pacenza, Bruno Censore, Ciccio Sulla, Carlo Guccione. Poi c’era la truppa socialista con Principe, Marini e Pappaterra. Sull’altra sponda Gigi Meduri, Franco Bruno, Mario Maiolo, Franco Laratta, Demetrio Naccari, i Laganà, Pietro Giamborino, poi c’era la costola dell’ex Margherita che aveva seguito Agazio Loiero con in prima fila Mario Pirillo, Pierino Amato, Ottavio Bruni e Franco Covello. Questo folto gruppo dopo cinque anni si è sfaldato, da una parte è andato via Bova, dall’altro Bruno, i Laganà e i “Loierani”. Perso Bova a Reggio i diessini resta ancora compatti e in ragione di una vecchia militanza, punta ora ad ipotecare la guida del Pd facendo leva sul controllo delle tessere in modo militare. Una macchina organizzativa collaudata che fa leva su un nucleo storico a partire da quel Giovanni Puccio, funzionario del partito regionale e uomo macchina di tutta questa fase commissariale a partire della primarie farlocche. Puccio, imposto da D’Attorre come traghettatore fino al congresso, secondi i detrattori, dietro le quinte ha continuato a tessere la tela degli ex Ds e oggi potrebbe essere quell’arma in più per vincere la campagna d’autunno. Sul “povero” Puccio, però, in questi giorni si sono abbattute le ire dell’area ex Margherita che ha chiesto a gran voce alla segreteria di nazionale di affidare il partito ad un coordinamento ampio rappresentativo di tutte le aree del Pd. Anche su questo, l’area diessina punta i piedi. Da quando Mario Oliverio, Nicola Adamo e Carlo Guccione sono tornati sotto lo stesso tetto, i dirigenti sulla sponda opposta non dormono sonni tranquilli, essere riusciti a sventare poche settimane fa la celebrazione del congresso quando si era capito che potevano perderlo non basta. Sono consapevoli che il trio Mario Oliverio-Guccione-Adamo, a cui si è aggiunto Brunello Censore, stanno preparando la rivincita. Una partita che si gioca sulle regole congressuali, le pressioni sono per far votare i congressi solo i tesserati. La partita è apertissima.

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