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Roberto Occhiuto

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Partiamo da una domanda non strettamente legata alla sua candidatura, ma all’osservazione di quello che è successo nell’ultimo anno, con la pandemia. Sulle terapie intensive la Calabria è stata sempre intorno alla metà della soglia minima fissata dal Governo. Possibile che nessun intervento abbia sortito effetto? Contiamo davvero così poco?
«La peculiarità della Calabria è che è commissariata, quindi non è stato il governo regionale ad occuparsi della sanità. Paghiamo il prezzo di tanti anni di blocco del turn over. Inutile creare posti letto se non hai il personale. È una delle ragioni per cui utilizzerò il mio ruolo di dirigente nazionale di un partito per chiedere che la sanità sia restituita ai calabresi, o attraverso la fine del commissariamento o attraverso l’affidamento del ruolo del commissario al presidente della Regione. So bene che il tema della sanità è in cima all’agenda del prossimo governo regionale. Io per questo dico che le elezioni le vinco non il 3 e 4 ottobre ma le vinco dal 5 se do segnali di cambiamento. Il primo segnale deve arrivare dalla sanità».

In che modo?
«Per realizzarsi è necessario innanzitutto riformare il dipartimento della Salute, oggi incapace di coordinare l’attività delle singole aziende sanitarie. Queste sono tante monadi, non c’è coordinamento, non c’è gestione, né controllo di gestione. Poi bisogna chiedere al governo nazionale che si faccia carico di uno sforzo di perequazione.

Mi spiego. In undici anni di commissariamento non sono stati fatti investimenti, né assunzioni per il blocco del turn over.

Negli altri sistemi sanitari si assumeva e si facevano investimenti. I 320 milioni di mobilità passiva si generano anche per questo. È ragionevole quindi chiedere al Governo, che ha gestito in questi anni il settore, di avere meno vincoli che altrove e anche un po’ più risorse. Il sistema sanitario non si può riformare senza massiccia introduzione di personale medico e sanitario, non puoi riorganizzare un sistema d’emergenza se non hai possibilità di assumere i medici che servono. L’assurdo è che quando poi vai fuori regione trovi il medico calabrese. Noi non abbiamo quindi un deficit di professionalità. Poi serve sfatare il mito per il quale tutto quanto è assistenza ospedaliera. Le linee guida sul riparto del fondo sanitario nazionale dicono che fatta 100 la spesa sanitaria, il 45% va destinata alla rete ospedaliera, il 55 al territorio, il 5% alla prevenzione. Qui si è investito solo sulla rete ospedaliera. Qualcuno contesta la chiusura degli ospedali. Bene. In Calabria c’erano 42 ospedali, uno all’ombra di ogni campanile. L’errore non fu chiudere gli ospedali. Probabilmente si poteva fare meglio, vennero chiusi ospedali con tassi di produttività alti. Errore più grave è stato non aver convertito gli ospedali chiusi in presidi territoriali. Un ricovero in rete ospedaliera costa 1200/1300 euro, la stessa prestazione in regime ambulatoriale costa 5/6 volte in meno. Abbiamo chiuso ospedali senza fare investimenti sull’assistenza territoriale. Ecco perché è scoppiato il sistema sanitario. A Cosenza scoppia l’ospedale perché non ci sono altre risposte sul territorio. Se vi fossero guardie mediche, casa delle salute ecc, ci sarebbero dei filtri e invece tutto arriva al Pronto Soccorso. Quindi per riorganizzare la rete ospedaliera e l’assistenza sul territorio, dotarsi delle terapie intensive per affrontare una recrudescenza del virus, è necessario fare investimento in risorse, in assunzioni».

Sì, ma qui il problema è diverso e dimostra un totale disinteresse del Governo centrale per la Calabria. Se siamo in una pandemia che ci costringe anche a privarci di alcune libertà personali, siamo quindi in uno stato di emergenza, possibile che nessuno interviene, anche con provvedimenti straordinari, per sbloccare i numerini delle terapie intensive? Davvero siamo così poco considerati?
«Ma avete visto che è successo sui commissari? La comunità nazionale ha saputo chi era il commissario dalla tv. L’istituto del commissariamento non è un istituto che funziona. Lo dice anche la Corte Costituzionale perchè se tu mandi una persona senza che abbia gli strumenti adeguati, ecco che non funziona. I commissari sono figli del pregiudizio per cui in Calabria la sanità è tutto malaffare. Quello che è successo prima della nomina di Longo credo sia la rappresentazione del giudizio che hanno a Roma della sanità calabrese.

Io non voglio più commissari, se vogliono mandarci qualcuno, ci mandino tecnici della ragioneria generale dello Stato per chiudere i bilanci delle Asp.

Su questo si stima un debito di due miliardi. Intanto si chiudano i bilanci con i debiti accertabili, se c’è qualche posta di contenzioso si chiudano i bilanci comunque, così si rimette in piedi il sistema. Io ho fatto approvare una norma in Parlamento che la Ragioneria generale dello Stato non voleva approvare. La legge dà la possibilità di ripianare i debiti con una anticipazione da parte della Cassa Depositi e Prestiti da restituire in 30 anni con un tasso d’interesse che è quello dei Btp a cinque anni. Oggi noi paghiamo il 10% fra interessi di mora e legali e non abbiamo le risorse per pagare i debiti e gli interessi. Con la mia norma avremmo pagato 70 invece di 200 milioni di interessi. Non si può applicare perché non sai a quanto ammonta il debito».

Uno dei passaggi più significativi della sentenza della Consulta è sulla redazione del programma operativo. C’è un problema di management all’interno delle aziende sanitarie?
«C’è sicuramente un problema di qualità del management. È una delle cose che mi preoccupa di più in prospettiva. Più che gli assessori, di cui tutti mi chiedono, io mi preoccupo di chi farà il dirigente generale dei dipartimenti, delle aziende sanitarie perché so che la qualità dell’azione amministrativa dipende più dal direttore generale che dall’assessore. In sanità abbiamo due problemi. Questo della qualità del management, ma anche un problema di organizzazione. Quando ogni azienda è una monade che fa quello che vuole… Il cruscotto Agenas è alimentato con dati che qualcuno manda e non so come. Se ci fosse davvero un controllo dei flussi, avremo dati diversi. Sui LEA abbiamo un livello bassissimo ma che si desume da dati non verificabili. Puoi avere i migliori alla guida delle aziende sanitarie ma se non hai un cervello centrale che è il dipartimento che ne coordina le attività, anche i migliori non riescono a fare quello che dovrebbero fare.

C’è un problema di qualità del management, sì, ma soprattutto di organizzazione del sistema.

Infine c’è un problema di disponibilità a venire in Calabria. Un direttore generale bravo che lavora in un’altra regione non ci viene qui perché rischia di perdere quello che ha costruito in termini di rapporti e relazioni. La mia idea è quella di investire in calabresi che non hanno raggiunto posizioni apicali, si portano in Calabria promuovendoli come direttori generali. Ho fatto una campagna elettorale senza incontrare un solo direttore delle Asp, per avere le mani libere di scegliere i migliori. Il tema è dove prenderli. Credo sia l’aspetto più difficile. Se noi costruiamo l’organizzazione del dipartimento e poi troviamo management di qualità, poi non dobbiamo inventarci grandi cose, basta replicare le buone prassi che hanno funzionato in altre regioni. Dobbiamo avere però le risorse necessarie per fare la gestione e il controllo di gestione del sistema».

C’è una carenza di medici…
«La interrompo su questa questione. Si fa confusione. Io ho votato contro il Decreto Calabria perché non passò un mio emendamento che diceva che le assunzioni previste dovevano essere a tempo indeterminato, non determinato. Un medico specializzato se non ha una prospettiva non ci viene in Calabria».

Mi riferivo ad alcuni tipi di specialisti, in particolar modo anestesisti. L’Anaao Assomed ha proposto che la Regione assegni borse di studio per le specializzazioni in base al fabbisogno reale e non a pioggia, con una postilla: il detentore di borsa per 5/10 anni deve restare in Calabria a lavorare. Può essere una strada praticabile?
«Può essere una strada. Un’altra potrebbe essere attingere a tutte le graduatorie del sistema nazionale prevedendo una forma di integrazione contrattuale. Per molte professionalità degli altri apparati dello Stato venire in Calabria, siccome viene considerato più oneroso, è più remunerato. Perché non prevedere una soluzione simile anche in campo sanitario, almeno in questa fase di emergenza? Chi accetta di venire in Calabria viene pagato di più. Attenzione. Io so che mi gioco tutto nella riforma della sanità, ma ho bisogno di una squadra con competenze e capacità organizzative. L’esperienza ha dimostrato che non bastano nemmeno le competenze per governare un’Asp o un Dipartimento. Ho delle idee, giudico positiva quella che mi avete rappresentato. Il percorso finale però è chiaro che lo studierò nei dettagli con le persone che indicherò ai vertici della macchina burocratica».

Parliamo del digitale per il quale nel Pnrr sono previsti consistenti finanziamenti. La Calabria che è in ritardo sulle infrastrutture materiali, riuscirà a fare il salto in avanti su quelle immateriali? Altrimenti anche qui parliamo a vuoto quando discutiamo di southworking, ripopolamento dei borghi e via dicendo…
«Nel Pnrr ci sono risorse importanti e io credo che le infrastrutture digitali in questo momento in Calabria sono più importanti di quelle materiali. L’ho sempre girata la Calabria, in questo ultimo mese più che in passato. Vedo risorse straordinarie, basti pensare ai nostri borghi. In altri paesi europei stanno investendo sullo smart working. Senza connettività fai fatica a rendere attrattivi i borghi. Se guardiamo i dati dei nostri laureati dell’Unical, vediamo che diversi corsi di laurea, da Statistica a Ingegneria Informatica, hanno il 100% di assunzioni, ma quasi tutti fuori dalla Calabria. Qui abbiamo il costo del lavoro più basso, abbiamo capitale cognitivo che è prima risorsa per le aziende che operano su prodotti e servizi innovativi. Potremmo utilizzare parti delle aree industriali dismesse per farne luoghi in cui si insediano grandi imprese nazionali e internazionali che potranno utilizzare i laureati dei nostri atenei, gli sgravi contributivi nei settori della nuova economia. Siccome su questo tema si può investire più velocemente che su quello delle infrastrutture materiali, serve un grande sforzo da parte del governo regionale e nazionale. Il punto è l’autorevolezza per pretendere investimenti da parte del governo nazionale sul settore».

Restando ai temi del lavoro, lei è stato promotore della legge contro la fuga dei cervelli. Ci fa un bilancio, a distanza di anni? Pensa si possa riproporre qualcosa di analogo, magari non solo orientato al pubblico?
«In realtà quella legge non era orientata al pubblico poi si orientò lì e fu un errore. Io ritenevo. da consigliere regionale, che la vera ricchezza della Calabria era il suo capitale cognitivo. Il ragionamento era che se diamo ai laureati migliori la possibilità di poter stare in Calabria con un minimo di autonomia economica, questi siccome son bravi potrebbero creare lavoro per se stessi e per altri. Feci approvare questa legge dal consiglio regionale e la feci anche finanziare e selezionò i migliori laureati calabresi solo per titoli. Senza colloqui, prove selettive dove spesso si insinua… Insomma era davvero per laureati eccellenti. Scrissi anche il regolamento d’attuazione che diceva che questo beneficio durava due anni ed era assolutamente irripetibile. Feci l’errore di prevedere che questi ragazzi, in questi due anni, dovessero dare una mano nei Comuni dove c’erano deficit di capacità amministrativa. Fu un errore perché trovarono sindaci che li illusero, «dai che poi resti». Io sono poi andato a fare il deputato e questi sono diventati dei precari di lusso che è il contrario di quanto immaginavo. Gli incentivi all’eccellenza devono essere incentivi che procurano percorsi di costruzione del lavoro. Nelle pieghe del Pnrr credo ci sia la possibilità di assumere persone qualificate che aiutino i decisori politici. Credo che questa sia la tipologia di precari più facili da aggredire».

Restiamo nell’ambito del Pnrr. Suo fratello Mario nel suo programma parlava di Calabria Green, è stato quasi precursore della transizione ecologia. Lei ha ripreso qualcosa di quel programma o comunque che programmi ha per l’ambiente visto che in Calabria ci sono nodi grossi da sciogliere: l’efficienza di Calabria Verde, il gestore unico del servizio idrico integrato, la tutela del patrimonio boschivo ecc.
«Una delle cose di cui ho deciso di occuparmi da subito è la depurazione. Anche perché se si riesce a intervenire su questo i risultati si vedono subito e questo garantisce un immediato ritorno politico. Sono andato a visitare un bellissimo centro ad Amendolara, retto peraltro da uno che non ha la mia sensibilità politica visto che è stato assessore con il centrosinistra. Si tratta di Silvio Greco che è un grande studioso del mare. Una delle prime cose che farò è lavorare con questo centro sulla salute del mare. Creare un sistema per la governance dei depuratori. Anche qui alcuni sono dei Comuni, altri dei consorzi, non c’è un sistema di controllo. Dobbiamo ritarare alcuni depuratori, oggi tarati sulla popolazione invernale, e trovare un sistema per monitorare gli scarichi abusivi. Abbiamo molte case che non sono allacciate alla rete fognaria, arriva l’autospurgo e poi non si sa bene cosa succede. Ora abbiamo persino le slot collegate con l’Agenzia delle Entrate con macchinette che ne rilevano il funzionamento, è così difficile monitorare con gps gli autospurgo?
Sull’acqua vorrei fare una multiutility che si occupa di tutto. Ora abbiamo la Sorical che si occupa della grande adduzione, poi i Comuni o i consorzi con la loro rete fatiscente e i sindaci che non hanno le risorse per modernizzare la rete. L’idea che ho io è chiedere al governo di far scendere in campo Cassa depositi e prestiti. La Sorical ha sempre avuto la Regione e socio privato, che mi pare non abbia mai dato un contributo. Io immagino una multiutility con capitale sociale formato dalla Regione e Cassa depositi e prestiti, con quest’ultima che si impegna a fare anche l’attività di ammodernamento della rete dei comuni. Sull’acqua abbiamo anche un altro problema: c’è un buco nel bilancio della Regione… anche questo come lo risolvi? Con una norma che dà la possibilità ai Comuni di iscrivere in bilancio queste risorse e poi pagarle attraverso la Cassa depositi e prestiti. Su alcuni problemi la mia intenzione è chiedere che anche le società di Stato intervengano con forza per risolverli. Anche sulle infrastrutture… noi spesso abbiamo avuto un atteggiamento supino con Ferrovie. Quando si trattava di stipulare contratti di servizio nessuno andava a vedere cosa vi fosse dentro. Perché deve essere così?».

Ma ha preso qualcosa dal programma di suo fratello?
«Mario su questo aspetto è forse il cittadino più europeo ed ha anticipato questi temi. Io li metterò al centro del mio programma perché mentre prima poteva essere solo l’intuizione di un visionario oggi è una modalità operativa per spendere i soldi del Pnrr. Gli obiettivi della transizione ecologica sono centrali».

Una piccola appendice sulla transizione ecologica. Un aspirante presidente pensa ad un sistema di controllo e verifica affinché i grandi gruppi non vengano a fare progetti basandosi sui fondi del Pnrr e sfruttando le risorse naturali della Calabria, vedi ad esempio risorse naturali del mare o di altre fonti energetiche rinnovabili, per poi lasciare briciole sul territorio?
«Ho pensato che questa circostanza, quella delle risorse del Pnrr e gli interessi potenziali dei grossi gruppi, può essere un’opportunità o un problema. Dipende dalla capacità del governo regionale. Io immagino l’azione del presidente della Regione che si pone alla pari, prima parlavo del problema di sudditanza psicologica verso Ferrovie. Qui non c’è mai stata una controparte politica che avesse competenze e autorevolezza per confrontarsi con A2A, Ferrovie, grossi gruppi industriali, per attivare un confronto. Siccome io non ho ipertrofia dell’ego, ho un po’ d’esperienza maturata anche a livello nazionale, con molti di questi gruppi mi sono confrontato nel mio ruolo di capogruppo di Forza Italia, conosco diversi manager. Ma anche qui non ho, dicevo, l’ipertrofia dell’ego, ma so che devo attrezzarmi per avere una squadra che abbia la possibilità di fare un lavoro istruttorio per chi come me farà il decisore politico in questa fase così complessa. Confido molto nella possibilità di reperire queste esperienze anche grazie alle disponibilità del Pnrr. Io immagino di avere una cabina di regia con giovani esperti che ci aiutino nel governo soprattutto in rapporto a queste questioni che sono di rilevanza preminente».

Altra questione cruciale è quella dei rifiuti. Lei come intende intervenire?
«Io credo che una regione di 1,8 milioni di abitanti possa essere una regione autosufficiente. L’impianto di Gioia Tauro funziona al 20%. Mi dicono che esiste anche uno studio sulle tecnologie per renderlo più performante. Ma penso che la strada maestra, e qui lo dico da fratello di Mario, non può che essere investire sulla differenziata. L’altra volta parlavo con degli agricoltori. Se noi selezionassimo davvero l’umido avremmo un fertilizzante straordinario e invece importiamo biogas dalla Germania. Con una vera selezione dei rifiuti quello che andrebbe in discarica o nel termovalorizzatore sarebbe davvero una minima parte».

C’è anche un problema politico. Pensi alla Calabria nord che da anni non riesce ad individuare un sito di stoccaggio per l’opposizione delle popolazioni. Nessuno vuole gli impianti sotto casa…
«Io arrivo a questa esperienza nella migliore stagione della mia vita politica. Io venivo al Quotidiano quando ero consigliere comunale, sono venuto da consigliere regionale, poi da deputato. Quindi che cosa devo dimostrare a me stesso? Se avessi voluto fare il Ministro sarei rimasto alla Camera visto che tutti i miei predecessori come capogruppo poi lo sono diventati. Io ho un’ambizione più esaltante che è quella di governare questa regione e dimostrare, anche a livello nazionale, che non è ingovernabile. Per farlo bisogna avere il coraggio di fare anche scelte impopolari, quando c’è la necessità. Ovviamente può farlo chi non esercita il ruolo per avere una proiezione politica o perché vuole consolidare un elettorato; io non ho nulla da consolidare dal punto di vista elettorale perché ho dimostrato a me stesso ogni cosa. Lo faccio con l’atteggiamento di chi si gioca tutto. Potevo scegliere tra la serenità di un impegno anche esaltante perché essere capogruppo di un partito importante lo è, o la complessità di una sfida che molti giudicano impossibile. Siccome io non la giudico impossibile l’ho colta e mi gioco tutto anche a rischio di dover essere nell’immediato impopolare. Il miglior investimento in politica lo fai quando hai il coraggio di essere nel breve termine impopolare nel fare le scelte giuste».

(le domande sono state poste dal direttore Rocco Valenti, Massimo Clausi, Maria Francesca Fortunato e Valerio Panettieri)

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