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Il sindaco Falcomatà testimonia la sua solidarietà a Gianfranco Laganà

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«SCEGLIAMO volutamente la ricorrenza della strage di Capaci per esprimere solidarietà convinta e vivo apprezzamento all’imprenditore reggino, Gianfranco Laganà, titolare dell’esercizio commerciale Vesper, che ha denunciato le intimidazioni e le richieste estorsive che gli erano state fatte con modalità di plateale stampo mafioso da ben individuati soggetti».

Inizia così un comunicato a firma di Renato Milasi, socio fondatore di “Impegno e identità” che con la circostanza invoca una riflessione sul sistema penale italiano, che «preventivo che repressivo, in linea generale, si fonda da sempre su atti scritti, e tali sono pure i filmati, o dichiarazioni o denunce verbalizzate quali dati conoscitivi che poi sono ritualmente messi a disposizione delle parti. Ed una volta che siano vagliati in sede dibattimentale, possano resistere ad ogni eccezione di invalidità nel rito o di inattendibilità nel merito, che sono le ragioni di discolpa ordinariamente elevate nell’agone dell’aula dai soggetti che vi sono stati tratti perché incolpati di una condotta di reità».

Milasi cita Falcone il quale, «sicuro assertore di questa metodologia garantista, ammoniva discorsivamente i suoi colleghi dicendo “se indagate su una grossa vicenda di mafia e non rispettate le forme, vi fottono nella forma e nella sostanza”». «Pertanto – osserva Milasi – ogni informazione data, sia dalle vittime che dalle persone informate del fatto sospettato di reità, deve essere traslata necessariamente in atto scritto, affinché venga successivamente acquisita la conferma dei narrati, resa sotto il vincolo della solenne dichiarazione di impegno di affermare la verità».

«Così consolidato – spiega Milasi – il materiale probatorio, che diventa perciò soltanto scritto (o riprodotto per immagine), si può pervenire in sede giudiziaria ad una sicura affermazione di responsabilità, perché solo su quelle informazioni o su quegli atti dei quali è ormai certa la genuinità, la motivazione della sentenza di condanna può essere ben esplicitata e quindi essere persuasiva e convincente. Senza carte, non si fa nessun processo, né penale né civile, per essere banali».

Aggiunge il fondatore di “Impegno e identità”: «A questa impostazione ordinamentale, la delinquenza organizzata, che ne ha sempre ben compreso il pericolo, reagisce con la regola inviolabile del silenzio che impone non solo ai suoi associati ma soprattutto all’esterno, facendo obbligo a tutti di tacere, di non denunciare. Ma anche il dichiarato o confessato ed il parlato devono essere convertiti in atto scritto e verbalizzato. Il difetto di cooperazione dei cittadini ha ragioni più profonde della semplice paura delle ritorsioni, perché fin troppe volte chi coraggiosamente si è esposto ha dovuto patirne le conseguenze in termini di ostracismo sociale perché in verità resiste ancora a livello subculturale una forma di infezione dello spirito, che avversa irragionevolmente lo Stato».

«In ogni caso – è la conclusione di Milasi – la strada da imboccare con decisione è solo quella già intrapresa dal concittadino, che in sostanza non ha fatto altro, ed ha fatto molto, che dimostrare di credere, puramente e semplicemente, nella legalità, che deve essere il valore ed il traguardo dell’impegno comune del consorzio civile».

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