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Nel processo in corso a Palermo è stato ripercorso l’agguato ai due militari avvenuto in Calabria nel 1994. I collegamenti tra ‘ndrangheta e Cosa nostra e il delitto del giudice

REGGIO CALABRIA – L’agguato a due carabinieri, uccisi a Palmi nel gennaio del 1994, è al centro della deposizione del collaboratore di giustizia Consolato Villani al processo trattativa Stato-mafia, ripreso nell’aula Bunker del carcere Ucciardone di Palermo dopo una pausa di due settimane.

Collegato in videoconferenza il pentito di ‘ndrangheta, che deve scontare una pena a trenta anni di carcere, proprio per l’agguato ai militari dell’Arma, ha risposto alle domande del pm Nino Di Matteo e del pm Roberto Tartaglia. 

Il pentito, ex braccio destro del boss Nino Lo Giudice, ha detto di aver partecipato alle spedizioni messe in atto in Calabria contro i carabinieri: «Gli agguati ai carabinieri furono il mio battesimo del fuoco. Il primo a dicembre ’93. Avevo un fucile a canne mozze ma a sparare fu Giuseppe Calabrò con un mitra M12. I carabinieri rimasero illesi e lui mi disse che bisognava riprovarci».

Il 18 gennaio 1994 la ‘ndrangheta uccise due carabinieri, Vincenzo Garofalo e Antonino Fava, 31 e 36 anni, entrambi sposati, con figli. I due, entrambi appuntati, originari rispettivamente di Scicli in provincia di Ragusa e di Taurianova, nel Reggino, erano in servizio al Nucleo Radiomobile della Compagnia di Palmi. Furono crivellati a colpi di mitraglietta calibro nove e kalashnikov.

«Dopo il fallimento del primo agguato Giuseppe Calabrò era rimasto malissimo – racconta il pentito Villani – Il secondo agguato venne così preparato nei minimi particolari, Calabrò mi disse che si stava organizzando per colpirli fuori da Reggio Calabria. Questo succede pochi giorni dopo il mancato attentato. Calabrò mi disse che aveva trovato un posto e che non si poteva sbagliare, alla piazzola panoramica dell’autostrada del sole tra Bagnara e Scilla. In questa piazzola facevano le ricognizioni i poliziotti e i carabinieri. Lui mi disse andiamo lì e aspettiamo i carabinieri».

«Dopo l’agguato Esultammo mentre le televisioni parlavano dell’attentato», racconta il collaboratore di giustizia. In particolare Villani è stato chiamato a testimoniare per chiarire i contorni di 3 attentati nei confronti dei carabinieri ai quali lui stesso ha partecipato tra il mese di dicembre del ’93 e il febbraio del ’94, appena diciottenne.

I magistrati lo hanno chiamato soprattutto «per riferire quanto a sua conoscenza sulla connessione di tali delitti contro i carabinieri in Calabria con la strategia stragista di Cosa Nostra e con la causale degli omicidi e delle stragi compiuti nel ’92 in Sicilia e nel ’93 a Roma, Firenze e Milano».

Il pm Di Matteo ha ribadito la “pertinenza” della testimonianza ritenuta «strettamente collegata alle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza». Secondo Spatuzza c’erano anche i calabresi a spingere per una trattativa Stato-mafia. 

Il collaboratore Consolato Villani ha anche raccontato alcuni retroscena sull’omicidio del giudice Antonino Scopelliti: «Per Nino Lo Giudice c’era qualche collegamento tra i nostri attentati e quelli fatti in Sicilia. Ma non mi spiegò chi gestiva questa cosa. In Sicilia c’era la strategia stragista e lui la voleva portare in Calabria. Il collegamento tra Riina e la Calabria era con il boss De Stefano. Prima, nel 1991, mi dissero che c’era stato un accordo tra i boss calabresi e Cosa nostra per uccidere il giudice Antonino Scopelliti. I calabresi lo avrebbero ucciso per conto di Cosa nostra». 

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