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L’uomo arrestato dopo vent’anni di latitanza ha risposto solo sulla sua identità. E’ caccia aperta ai fiancheggiatori

REGGIO CALABRIA – Dopo oltre 20 anni di latitanza ha passato la sua prima notte in carcere Ernesto Fazzalari, di 46 anni, ritenuto il capo dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta di Taurianova, catturato ieri all’alba dai carabinieri mentre si trovava insieme alla sua compagna, Rosita Zagari di 41 anni, arrestate anche lei, in una villetta di un complesso turistico rurale di Molochio, in pieno Aspromonte.

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Dopo l’arresto Fazzalari è stato interrogato per la prima volta nella caserma del Comando provinciale di Reggio Calabria dell’Arma dal Procuratore della Repubblica, Federico Cafiero de Raho, e dall’aggiunto, Gaetano Paci, ma il boss si è chiuso in un impenetrabile silenzio, rispondendo solo alle domande sulla sua identità. Per il resto nulla di nulla. Ermetico com’é nella tradizione dei capi della ‘ndrangheta.

Un atteggiamento che non ha affatto sorpreso i magistrati, che sapevano chi si sarebbero trovati davanti. Un uomo abituato a scappare o vagare nel suo territorio, protetto da una fitta rete di fiancheggiatori. Vent’anni trascorsi tra rifugi e nascondigli senza però disdegnare lauti pranzi e champagne francese, come quella volta quando, nel 2004, riuscì a sfuggire ai carabinieri grazie ad un tunnel scavato sotto il pavimento di un’abitazione di Taurianova, nella quale vennero trovati tracce della sua presenza e di un banchetto che stava consumando, forse insieme ad altre persone.

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Quello di Fazzalari é un arresto importante anche per gli sviluppi investigativi che ne possono scaturire. Non per nulla gli inquirenti hanno già fatto partire nuovi spunti d’indagine per «tastare» la reazione della criminalità organizzata calabrese all’arresto di uno dei suoi esponenti più rappresentativi e capire come si ridisegneranno gli equilibri in una zona infestata dalle ‘ndrine. Ma anche per individuare la fitta rete di fiancheggiatori che lo ha protetto e aiutato in questi 20 anni.

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Ernesto Fazzalari, condannato nel 1996 all’ergastolo (pena modificata nel 2014 in 30 anni di reclusione) per un duplice omicidio commesso durante la faida di Taurianova che provocò oltre 30 morti ammazzati, tra i quali quello di Giuseppe Grimaldi, al quale, dopo l’omicidio, venne tagliata la testa, utilizzata poi dai killer per il tiro al bersaglio, garantiva da latitante un contesto di pesi e contrappesi criminali che adesso potrebbero variare tra le cosche della zona nella quale la sua famiglia e quelle alleate controllavano il territorio, imponendo intimidazioni ed estorsioni. Fazzalari era al vertice del «locale» di ‘ndrangheta della sua zona, ma non di tutta l’organizzazione criminale calabrese, che non ha un assetto verticistico. Non si sa quale “carica” ricoprisse all’interno del «Crimine» calabrese, ma certo era al vertice della sua famiglia. Uno come lui, capace di far durare la sua latitanza così a lungo, grazie alla «rete» di protezione che era riuscito a crearsi intorno, veniva tenuto, comunque, in grande considerazione dagli altri capi della ‘ndrangheta. Scaltro, sveglio, furbissimo.

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Era conosciuto come il boss che amava i cavalli. Circolavano voci a Taurianova secondo cui qualcuno lo aveva visto più di una volta attraversare i boschi di ulivi in sella ad un cavallo, incutendo paura e facendo scappare tutti al suo passaggio. Un killer che si è insanguinato personalmente le mani in più di un’occasione ed é diventato per questo, tra i suoi sottoposti, una sorta di mito anche grazie alla sua imprendibilità. Un «fantasma» che girava solo di notte e che utilizzava alcuni suoi «fedelissimi» per recapitare messaggi. E con una cerchia strettissima di relazioni con altri esponenti della ‘ndrangheta, sui quali adesso si concentrano le indagini dei carabinieri per capire chi e come ha protetto per 20 anni la sua latitanza.

Oggi i carabinieri che hanno contribuito alla cattura di Fazzalari hanno ricevuto l’apprezzamento personale del Comandante generale dell’Arma, il generale di Corpo d’Armata Tullio Del Sette, che li ha incontrati e stretto loro la mano nella sede della Compagnia di Taurianova. «Siete stati artefici – ha detto il generale Del Sette – di un risultato storico», esprimendo tutto il suo compiacimento per l’arresto del secondo latitante più pericoloso dopo Matteo Messina Denaro. 

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