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Una slot machine

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La notizia è stata data durante un’udienza del processo “Anje”, in corso a Catanzaro su un traffico di stupefacenti

CATANZARO – Un nuovo pentito si affaccia sulla scena giudiziaria e rischia di provocare un terremoto nel crimine organizzato di mezz’Italia. Si tratta, infatti, di Nicola Femia, detto anche “Rocco”, oppure “U curtu” (nella foto in basso), ma meglio conosciuto come il boss delle slot machine, già titolare di un impero economico costruito sul gioco d’azzardo e sul narcotraffico.

La notizia è stata tenuta riservata per mesi dagli inquirenti, ma è venuta fuori ieri durante un processo per droga in corso a Catanzaro – nome in codice “Anje” – cogliendo di sorpresa anche l’avvocato difensore di Femia. Durante l’udienza, infatti, il procuratore aggiunto della Dda, Vincenzo Luberto, ha calato tre verbali d’interrogatorio con le prime confessioni messe nero su bianco dal neopentito tra febbraio e marzo. Verbali falcidiati dagli omissis, ma nei quali si fa accenno, qui e là, ai clan di un po’ tutte le province calabresi e non solo.

Del resto, già da anni l’uomo originario di Marina di Gioiosa Jonica (Rc), è considerato dagli investigatori alla stregua di un autentico “Paperone” della malavita, con interessi finanziari che vanno dall’Emilia Romagna alla Lombardia, passando finanche da San Marino. Diverse, poi, le informative antimafia che fotografano i suoi rapporti con la ’ndrangheta calabrese, sia nel Reggino che a Cosenza, specie nel centro costiero di Santa Maria del Cedro, avamposto dal quale avrebbe intessuto accordi con la camorra, in particolare con il clan dei casalesi.

Il piatto forte, però, è rappresentato dai videopoker, un business che di recente lo ha fatto finire nel mirino dell’Antimafia emiliana. “Black monkey” è infatti il processo che lo scorso febbraio ha segnato la sua condanna a ventisei anni e dieci mesi di carcere per associazione mafiosa. Si tratta dell’inchiesta che, tra le altre cose, ha immortalato Femia come autore delle minacce al giornalista Giovanni Tizian. In una telefonata intercettata nel 2011, infatti, il boss parlava di «sparare in bocca» al cronista autore di alcune inchieste sui presunti affari della ’ndrangheta in Emilia-Romagna. E poi rapporti pericolosi con imprenditori, broker, faccendieri e, soprattutto, politici. Sospetti che inseguono Nicola Femia detto Rocco da anni e ai quali lui stesso, ora, potrà offrire tutte le conferme del caso.

Le sue prime dichiarazioni, messe in chiaro durante “Anje”, riguardano i temi del processo, ovvero il narcotraffico sull’asse calabro-albanese con menzioni speciali per le cosche Valente di Scalea e Muto di Cetraro. Ma con ogni probabilità, questo non è che l’inizio.

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