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L’operazione ha colpito le nuove leve delle cosche Condello e Stillitano, entrambe della provincia di Reggio Calabria

REGGIO CALABRIA – I militari del Comando Provinciale Carabinieri di Reggio Calabria e agenti della Squadra Mobile della Questura di Reggio Calabria hanno eseguito 15 provvedimenti di fermo di indiziato di delitto, emessi dalla Direzione distrettuale Aantimafia di Reggio Calabria, nei confronti di altrettanti indagati appartenenti, a vario titolo, alla ‘ndrangheta e in particolare vicini alle cosche Condello di Archi e Stillittano di Vito, in provincia di Reggio Calabria.

Si tratta di un’operazione a difesa della movida estiva, terreno di conquista per la criminalità organizzata reggina. In 15 sono ritenuti responsabili di associazione di tipo mafioso, porto e detenzione di armi da guerra e comuni da sparo, tentata estorsione, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, intestazione fittizia di beni, maltrattamento di animali, con l’aggravante del metodo mafioso.

I NOMI DEGLI ARRESTATI E LE DICHIARAZIONI DEGLI INQUIRENTI

L’indagine, denominata “Eracle”, trae origine dalla necessità, avvertita dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria, diretta da Federico Cafiero De Raho, di contrastare la serie di reiterate aggressioni, risse ed intimidazioni che hanno interessato le recenti estati reggine, turbando la serena e la libera frequentazione serale dei locali d’intrattenimento, specie quelli stagionali avviati sul lungomare cittadino. Si è trattato di una serie di episodi che hanno visto per protagonisti giovani leve della ndrangheta reggina che, evocando la loro appartenenza a storiche cosche di Archi, volevano proporsi quale gruppo dominante della scena serale e notturna della città, intimidendo o aggredendo chiunque non riconoscesse il loro ruolo.

Le indagini hanno accertato come esponenti di primo piano della cosca Condello, agendo in sintonia con alcuni rampolli della cosca Tegano, avessero assunto la gestione monopolistica dei servizi di “buttafuori” presso i principali locali d’intrattenimento serale e notturno della città di Reggio Calabria.

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L’indagine, inoltre, ha consentito di disarticolare la dirigenza di un numeroso e pericoloso sottogruppo criminale, inserito nella “Cosca Rugolino” con base operativa nel quartiere di Arghillà, con a capo i fratelli Cosimo, Fabio ed Andrea Morelli. Il sottogruppo operava nel settore dei furti di autovetture, nelle abitazioni e scippi e nel traffico di stupefacenti; era dotato di una ingente disponibilità di armi da fuoco che lo aveva reso punto di riferimento anche per altre compagini criminali della zona. Il monitoraggio degli indagati e la volontà di approfondire la preoccupante diffusione di armi da fuoco tra i soggetti intercettati, ha consentito sia di individuare ulteriori esponenti della “Cosca Stillitano” (i cui vertici erano stati tratti in arresto in passato) che di identificare individui alcuni fornitori di armi e munizionamento in favore di esponenti delle cosche cittadine.

Il monitoraggio di Nucera

L’indagine ha mosso i primi passi dal monitoraggio di Nucera, presenza assidua della pizzeria “Mirablù”, ubicata nel centro città e luogo di ritrovo per numerosi esponenti dello schieramento Condelliano, formalmente intestata a Natale Antonio Canale e di fatto gestita da Domenico Nucera, compagno della figliastra di Canale. Nucera era amico di Domenico Tegano, figlio del boss Pasquale, che sovente veniva notato nel locale e sull’auto di Nucera.

La rapina e le armi

Gli associati avevano una reale e concreta disponibilità di armi come dimostrato il 19 dicembre scorso in occasione di una rapina perpetrata da Bruno Magazzù presso il “Center Stock” in viale Calabria. L’uomo subito dopo è stato arrestato e recuperata la somma di 31.940,00 euro mentre il suo complice riusciva a darsi alla fuga con parte della refurtiva. Nucera e Ferrante erano a conoscienza della rapina di Magazzù e provvedevano al sostentamento della sua famiglia da quando era stato arrestato.

La ricerca di armi da fuoco

L’addetto al reperimento e al procacciamento delle armi per l’associazione era Vincenzo Ferrante che, tramite Francesco Barbaro o Cosimo Morelli alias “Cocò”, si adoperava alla sostituzione o all’acquisto delle armi in possesso agli associati sotto la supervisione di Domenico Nucera. In diverse conversazioni intercettate, Nucera ha invitato Ferrante a prodigarsi per il procacciamento di nuove armi per “lavorare” ed Ferrante riferiva a Barbaro “qualsiasi cosa capita, pure mitragliette..” assicurando che aveva la disponibilità di denaro contante in quanto gli sarebbe bastato recarsi ad Archi a prendere il denaro necessario definendo pertanto una materiale assistenza economica delle famiglie “Arcote” al contesto associativo in essere.

La gestione dei “buttafuori”

Il contesto dei “buttafuori, secondo gli inquirenti, deve intendersi come espressione della ‘ndrangheta sul territorio; Nucera, con l’ausilio di alcuni dei ragazzi che, per suo conto, effettuavano l’irregolare servizio, a seguito di un litigio iniziato presso il lido “Ni’u”, il 29 agosto 2015, aveva ferito a colpi d’arma da fuoco un incensurato di Reggio Calabria nei pressi del Bar “Snoopy”.

Le corse clandestine dei cavalli

Nucera, inoltre, si mostrava un assiduo frequentatore di un ricovero per cavalli, attribuibile alla famiglia Condello, per conto di questa “scuderia” effettuava ripetutamente corse clandestine sullo scorrimento veloce Gallico-Gambarie. Lo stesso impartiva anche disposizioni sui farmaci da somministrare ai cavalli per migliorarne le prestazioni.

Il clan degli Stillitano

Vincenzo Ferrante, dopo essere stato alle dipendenze di Nucera, aveva ritrovato sintonia con lo zio Domenico Stillittano. Questo però ha provocato degli inasprimenti tra lui e i fratelli Cosimo e Andrea Morelli, operanti nel territorio di Arghillà, al punto da chiedere aiuto a Salvatore Falduto, storico affiliato della famiglia Stillittano e dimorante proprio ad Arghillà, per mettere pace tra i tre.

I malumori di Ferrante, però, aumentarono il 29 agosto 2016 in occasione del furto di un’autovettura di proprietà di Andrea Giampaolo Vazzana, cugino di Andrea Vazzana, storicamente affiliato alla famiglia di Pasquale Condello alias “il Supremo”. Un episodio che ha portato a una forte discussione tra Ferrante e Cosimo Morelli, dopo la quale, il primo si è rivolto a Enrico Giovanni Barcella, dipendente della ditta edile intestata alla moglie di Ferrante, per avere le armi della “famiglia” custodite, millantando l’avallo del fratello Francesco, senza ottenere però risultato. Il dissidio fu poi ricomposto da Nucera.

Il ruolo dei Morelli

L’attività d’indagine ha consentito, inoltre, di acclarare il ruolo di interlocutore privilegiato che i fratelli Morelli (Cosimo, Andrea e Fabio) avevano assunto nel contesto delinquenziale reggino. Gli stessi, oltre all’approvvigionamento di armi per conto dei loro referenti, potevano contare su un corposo numero di loro fiancheggiatori che si sono resi protagonisti, di reati predatori in diverse zone della città.

Il traffico di droga

L’indagine ha permesso di individuare un’attività di spaccio nella zona di Viale Manfroce-Ponte della libertà e gestita principalmente da Vincenzo Ferrante che si avvaleva della collaborazione di fidati collaboratori quali Antonino Saladino e Giovanni Magazzù. Le intercettazioni hanno portato alla luce il canale di Ferrante per l’acquisto ed il taglio della sostanza stupefacente da smerciare, individuato per l’appunto in Fabio Puglisi, addetto tra l’altro alla custodia della “bianca” da consegnare a Vincenzo. Il 18 maggio dello scorso anno, Saladino è stato trovato in possesso di 9 grammi di marijuana. Il 18 giugno, invece, a seguito di perquisizione domiciliare presso l’abitazione di Fabio Puglisi, sono stati rinvenuti 18,133 grammi di cocaina e 282,238 grammi di marijuana.

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