X
<
>

I carabinieri uccisi negli agguati: Fava e Garofalo

Condividi:
4 minuti per la lettura

REGGIO CALABRIA – Un’operazione della Polizia di Stato, coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, ha portato all’esecuzione di due ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di altrettanti elementi di vertice della ‘ndrangheta e di Cosa nostra che, nel quadro di un’unica strategia mafiosa di attacco allo Stato negli anni ’93 e ’94, sono ritenuti tra i mandanti dei tre attentati compiuti contro i Carabinieri di Reggio, in cui due militari morirono e altri due rimasero feriti. All’operazione partecipano anche i Carabinieri.

SCOPRI I CONTENUTI SULL’OPERAZIONE ‘NDRANGHETA STRAGISTA
NEL FASCICOLO AD AGGIORNAMENTO DINAMICO

Nel primo attentato, il 18 gennaio 1994, morirono gli appuntati Antonino Fava e Giuseppe Garofalo; nel secondo, l’1 febbraio 1994, furono feriti l’appuntato Bartolomeo Musicò ed il brigadiere Salvatore Serra; il 1 dicembre 1994 rimasero miracolosamente illesi il carabiniere Vincenzo Pasqua e l’appuntato Silvio Ricciardo.

LE STRAGI E LA NASCITA DI FORZA ITALIA: LEGGI LA RICOSTRUZIONE

Nell’ambito dell’operazione sono in corso di esecuzione anche numerose perquisizioni in diverse regioni d’Italia. Le operazioni sono eseguite dalla squadra mobile di Reggio Calabria, dal Servizio centrale antiterrorismo e dal Servizio centrale operativo della Polizia di Stato e partecipano anche i Carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria.

I boss arrestati

In manette sono finiti il capo mandamento del rione Brancaccio di Palermo Giuseppe Graviano, fedelissimo di Totò Riina, e Rocco Santo Filippone, legato alla potente cosca di ‘ndrangheta dei Piromalli di Gioia Tauro.

Giuseppe Graviano, capo del mandamento mafioso di Brancaccio, coordinatore delle cosiddette «stragi continentali» eseguite da Cosa Nostra, è attualmente detenuto in regime di carcere duro. Rocco Santo Filippone, di 77 anni, di Melicucco, era a capo del mandamento tirrenico della ‘Ndrangheta all’epoca degli attentati ai carabinieri. A quest’ultimo, la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria contesta anche il reato di associazione mafiosa per essere ritenuto, anche attualmente, l’elemento di vertice della cosca Filippone, direttamente collegata alla più articolata e potente cosca Piromalli di Gioia Tauro.

A Filippone, secondo l’accusa, sono demandati compiti di particolare rilievo come quello di curare le relazioni e incontrare i capi delle altre famiglie di ‘Ndrangheta al fine di dare esecuzione alle decisioni di maggior rilevanza criminale deliberate dalla componente riservata dell’organizzazione mafiosa calabrese. Tra queste anche quelle di aderire alla strategia stragista di attacco alle istituzioni dello Stato, attuata in Calabria, negli anni ’93 e ’94, in sinergia con Cosa Nostra attraverso il compimento degli omicidi e tentati omicidi dei carabinieri, materialmente eseguiti da Giuseppe Calabrò e Consolato Villani.

 La confessione degli autori

Hanno confessato di essere stati gli autori degli attentati ai carabinieri di Reggio Calabria, ma non hanno mai indicato quello che, per inquirenti ed investigatori reggini, è stato il vero movente, ovvero un attacco stragista allo Stato coordinato con Cosa Nostra. Giuseppe Calabrò e Consolato Villani – quest’ultimo minorenne all’epoca dei fatti – dopo l’arresto sono divenuti collaboratori di giustizia.

Calabrò, tuttavia, ha sostenuto che l’agguato sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria del 18 gennaio 1994, in cui morirono gli appuntati Antonino Fava e Giuseppe Garofalo, fu una reazione per timore che potessero fermarli mentre, a bordo di un’auto, trasportavano armi. Recentemente, il 27 maggio 2016, Villani, deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia a Palermo ha riferito che aveva chiesto il perché degli agguati ai carabinieri a Calabrò e che questo gli aveva riposto che «stavamo facendo come la banda della Uno bianca: attaccavamo lo Stato». Villani ha anche riferito di essere stato lui, su disposizione di Calabrò, a fare una telefonata in cui si rivendicava l’attentato costato la vita a Fava e Garofalo in cui disse «questo è solo l’inizio».

La perquisizione a Bruno Contrada

La procura di Reggio Calabria ha disposto una perquisizione in casa di Bruno Contrada, ex numero 2 del Sisde condannato per concorso in associazione mafiosa per cui, nelle scorse settimane, la Cassazione aveva revocato la condanna. La perquisizione rientra nell’inchiesta calabrese sugli attentati ai carabinieri.

«Ci aspettavamo ed era ampiamente prevedibile – ha detto il legale di Contrada, l’avv. Stefano Giordano – una reazione da parte di chi ha perso e non si rassegna a questa inesorabile sconfitta».  

«Contrada è sereno – ha aggiunto il legale – e spera di non essere più disturbato nel sonno». Durante la perquisizione non sarebbe stato sequestrato nulla.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE