X
<
>

Il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho

Condividi:
2 minuti per la lettura

Il procuratore di Reggio Calabra al Sir ha spiegato il fenomeno e la forza dell’organizzazione ciminale

ROMA – «La ‘ndrangheta non ha confini, paga in contanti e “droga” l’economia. È in grado di garantire disciplina, ma consente anche che cosche appartenenti all’una o all’altra parte della Calabria possano compartecipare negli affari».

Lo ha dichiarato Federico Cafiero De Raho, procuratore della Repubblica di Reggio Calabria in una intervista al Sir in cui spiega il fenomeno e le ragioni del “successo” della radicata e potente organizzazione criminale italiana.

«In Calabria e nella provincia di Reggio – ricorda De Raho – c’è la testa, ma esistono articolazioni locali – autonome nell’operatività ma non nei collegamenti – al nord». I mafiosi, infatti, «hanno una grande capacità di stringere rapporti, di concludere affari, soprattutto perché intervengono con tanto danaro. Basta pensare al fatto che la ‘ndrangheta è riuscita a creare basi locali anche in vari Paesi europei: Svizzera, Irlanda e Germania». Dunque, prosegue «la loro forza sta nel fatto che riescono a pagare tutto in contanti e in anticipo».

Secondo De Raho, tra i favoriti per diventare il nuovo procuratore nazionale antimafia (LEGGI), la ‘ndrangheta è «l’organizzazione malavitosa più “credibile” e proprio per questo riesce a entrare in simbiosi e sinergia con le altre organizzazioni mafiose e con i produttori di cocaina». È inoltre capace di drogare l’economia e il mercato del lavoro perché «toglie lavoro ad altri, alle imprese corrette che però hanno difficoltà a lavorare. Soprattutto in periodi di crisi, è evidente che chi riesce ad avere soldi e a farli entrare in modo occulto nella propria impresa ha un’agevolazione poi nell’ottenimento dei risultati che gli consente di competere con altre società».

Nella lotta per la legalità è importante anche il ruolo della Chiesa: «Il rispetto della dignità umana è un valore sia per la Chiesa sia per lo Stato – dice ancora il procuratore – in questo momento è come se ci fosse un’azione concentrica, come se il corrotto e l’uomo di ‘ndrangheta fossero accerchiati da una cultura nuova, una cultura della legalità che non è soltanto l’applicazione della legge. I sacerdoti che oggi parlano pubblicamente contro la corruzione e contro la ‘ndrangheta danno un segnale univoco e riescono a far comprendere che è passato il tempo in cui si poteva pensare di essere contemporaneamente cristiani e ‘ndranghetisti».

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE