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L'operazione dei carabinieri forestali

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REGGIO CALABRIA – Una operazione contro un traffico di animali protetti è stata condodda in provincia di Reggio Calabria dai Carabinieri forestali del Raggruppamento Cites hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di sette persone accusate di appartenere ad un’organizzazione dedita alla cattura ed al commercio, sul territorio nazionale e all’estero, di avifauna selvatica protetta dalla Convenzione di Berna.

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A carico di un’ottava persona, inoltre, é stato eseguito un obbligo di dimora. Dalle indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria, é emerso che i destinatari del provvedimento, bracconieri dediti alla cattura indiscriminata di migliaia di volatili in aree boschive della Calabria, avevano organizzato una filiera illegale per il libero commercio degli esemplari vivi, venduti in Italia e all’estero, sviluppando anche autonomi canali di distribuzione di uccellagione morta destinata ai ristoranti del Nord Italia.

Secondo quanto emerso dall’inchiesta, può essere stimabile in un milione di euro all’anno il giro d’affari generato dall’organizzazione dedita alla cattura e al traffico di animali protetti.

L’indagine è stata avviata nel 2016, con il coordinamento della Procura reggina, e ha portato all’arresto di sette persone, poste ai domiciliari – Francesco Repaci, di 70 anni, Pasquale Repaci (41), Giuseppe Gagliostro (55), Angelo Barillà(46), Rocco Costantino (60), Giovanni Porpiglia (27) e Demetrio Labate (61) – oltre all’obbligo di dimora per Domenica Siclari, di 59 anni, unica donna del gruppo.

L’inchiesta, culminata nell’operazione “Free wildlife”, è stata diretta dal sostituto procuratore Roberto Di Palma e coordinata dal procuratore aggiunto Gerardo Dominijanni. In particolare il sistema messo in atto dalla banda ha consentito ai bracconieri di catturare, per ogni postazione, non meno di 200 o 300 esemplari al giorno per un valore sul mercato clandestino oscillante a seconda della specie dai 25 ai 100 euro. Le attività investigative condotte dai militari sull’Aspromonte e su altre aree protette del territorio nazionale, hanno permesso di delineare il «modus operandi” dell’organizzazione.

Gli indagati, ad esempio, dopo avere individuato le zone con maggior presenza di uccelli, generalmente vicine a corsi d’acqua, le hanno ricoperte di mangime per abituare le prede a frequentarle. Quindi, hanno posizionato in gabbie chiuse volatili della stessa specie o richiami acustici per poi installare le reti da uccellagione. Delineata anche la natura «imprenditoriale» dell’organizzazione anche in relazione alle ingenti risorse utilizzate per l’acquisto di grandi quantitativi di mangime e l’impiego di ore di lavoro per raggiungere le zone, percorrendo anche 400/500 chilometri al giorno per sopralluoghi, posizionamenti e catture. Considerando che solo nel 2016 sono stati posti sotto sequestro circa 13 mila esemplari di avifauna protetta, viva e morta, il volume d’affari annuo generato sul mercato per gli esemplari posti in commercio è stimabile in un milione di euro.

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