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REGGIO CALABRIA – Ennesimo colpo alle ‘ndrine reggine da parte della Guardia di Finanza che, in collaborazione con il nucleo speciale di Polizia Valutaria e il coordinamento della Procura della Repubblica, Direzione Distrettuale Antimafia, diretta dal Procuratore Giovanni Bombardieri, su richiesta del Procuratore Aggiunto Calogero Gaetano Paci e del Sostituto Procuratore Stefano Musolino, hanno eseguito un provvedimento emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale con il quale è stata disposta la misura di prevenzione della confisca in relazione all’ingente patrimonio, costituito da imprese commerciali, beni mobili, immobili e disponibilità finanziarie, riconducibile a soggetti indiziati di appartenenza alla cosca di ‘ndrangheta “Labate”.

Tra i soggetti interessati dalla misura di prevenzione, c’è Michele Labate cl. ‘56, considerato esponente di vertice dell’omonima cosca unitamente al fratello Pietro, che «annovera – spiega la Finanza – condanne irrevocabili, tra l’altro, per il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso. Al riguardo, Pietro Labate cl. ’51, già sorvegliato speciale di Pubblica sicurezza e latitante per lunghi periodi, è stato, nel corso del 2015, sottoposto a fermo di indiziato di delitto dal Gico del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Reggio Calabria per intralcio alla giustizia aggravata dalle finalità e modalità mafiose, in ordine alle minacce perpetrate ai danni di una testimone, in un importante processo in corso proprio nei confronti del fratello Michele e di altri esponenti della cosca “Labate”, volte a indurla a commettere il reato di falsa testimonianza».

Per questo delitto, Pietro Labate è stato condannato, con sentenza confermata dalla Corte di Appello di Reggio Calabria il 22 settembre 2016, alla pena di 5 anni di reclusione.

Gli altri interessati dal provvedimento sono i fratelli Giovanni e Pasquale Reno che, in altro procedimento, sono stati condannati dal Tribunale di Reggio Calabria (con sentenza non definitiva) per concorso in associazione per delinquere di tipo mafioso a 15 anni di pena detentiva.

La misura di prevenzione patrimoniale ha, altresì, interessato il patrimonio immobiliare degli eredi di Antonio Finti cl. ‘42, imprenditore reggino deceduto nel 2014. La sua vicinanza ai Labate «è stata ricostruita attraverso puntuali riscontri alle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia che indicavano Finti quale soggetto a disposizione della cosca “Labate” e deputato al reimpiego dei proventi illeciti attraverso acquisizioni immobiliari. L’esistenza e l’operatività della cosca “Labate”, nei quartieri di Gebbione e Sbarre della zona sud di Reggio Calabria, è stata più volte accertata con più di una pronuncia già passata in giudicato».

In particolare, è stato riconosciuto il ruolo di primo piano di Michele Labate e del fratello Pietro nell’omonima cosca, nonché «il controllo assoluto, già dal 1987, della gestione delle attività economiche, con riferimento soprattutto al settore del commercio della carne. In tale contesto le investigazioni a carattere economico/patrimoniale delegate dalla DDA reggina al Nucleo di Polizia Economico Finanziaria/G.I.C.O. e al Nucleo Speciale Polizia Valutaria, V Gruppo, oltre a delineare la pericolosità sociale qualificata in capo a Labate e ai fratelli Remo, hanno consentito di qualificare le imprese a loro riconducibili nel genus delle “imprese mafiose” in quanto nate e accresciutesi sfruttando il potere mafioso della cosca “Labate” per sbaragliare la concorrenza, per imporsi sul mercato, per procurarsi clienti, con totale alterazione delle regole della concorrenza, finendo per operare nella zona di competenza in posizione sostanzialmente monopolistica».

Sono state ricostruite, attraverso accertamenti e l’acquisizione di documentazione consistente in contratti di compravendita di beni immobili, di quote societarie, atti notarili, ecc., «tutte le transazioni economiche poste in essere da Labate e fratelli Remo negli ultimi 30 anni, appurando che gli investimenti dei proposti e dei componenti dei loro nuclei familiari erano stati effettuati con denaro di provenienza delittuosa in quanto derivante da attività imprenditoriale svolta secondo modalità mafiose. Per quanto riguarda Finti, sebbene non sia mai stato direttamente coinvolto in procedimenti penali per il delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso o per altri delitti aggravati dal metodo mafioso, l’esistenza del profilo di pericolosità sociale qualificata è stata accertata attraverso i plurimi e puntuali riscontri alle dichiarazioni di collaboratori di giustizia, posti in essere dai Finanzieri che, ricostruendo i flussi finanziari e le vicende economiche dell’intero nucleo familiare di Finti, sin dal 1972, hanno appurato che gli investimenti immobiliari effettuati nel tempo erano stati del tutto sproporzionati rispetto alle risorse lecite disponibili».

In conclusione il provvedimento ha interessanto Michele Labate, Pasquale e Giovanni Remo, Pietro Labate cl. ‘51, soggetto ritenuto al vertice dell’omonima cosca; ed ha riguardato beni per circa 33.000.000 di euro, costituito dal patrimonio e quote sociali di 5 complessi aziendali, 62 beni immobili (fabbricati e terreni) siti in Reggio Calabria, 3 autoveicoli e rapporti finanziari/assicurativi e disponibilità finanziarie. 

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