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REGGIO CALABRIA – La Procura di Reggio Calabria ha chiuso l’inchiesta sugli agenti della polizia municipale della città che aveva portato, lo scorso luglio, all’arresto di due vigili urbani e alla sospensione di altri sette.

L’avviso di conclusione indagini, firmato dal pubblico ministero Alessia Giorgianni, è stato notificato ai 13 indagati. Tra loro ci sono gli agenti Mauro Anselmi e Giuseppe Costantino, finiti ai domiciliari perché, secondo la Procura, avevano messo in piedi una vera e propria associazione criminale.

Stando alle indagini, coordinate anche dal procuratore Giovanni Bombardieri e dall’aggiunto Gerardo Dominijanni, oggi procuratore generale di Reggio Calabria, si è trattato di un sodalizio finalizzato alla ricerca di veicoli da rottamare, acquisire o cannibalizzare. Della stessa associazione a delinquere avrebbero fatto parte anche Antonio Domenico Iannò, Francesco Surace e Bruno Stelitano a cui sono riconducibili due imprese operanti nel settore del soccorso e della rimozione di veicoli, una delle quali è una depositeria giudiziaria autorizzata.

Gli altri reati contestati dalla Procura sono concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, falso ideologico e violenza privata. L’indagine era partita da una denuncia presentata da un ambulante extracomunitario, residente da 30 anni in Italia, vittima di un’ingiustificata appropriazione della merce esposta da parte di Anselmi e Costantino. L’inchiesta, condotta dalla guardia di finanza, ha praticamente decimato il comando di polizia municipale.

Il 20 luglio, infatti, oltre ai domiciliari per i due vigili, il gip aveva sospeso dall’esercizio del pubblico ufficio per 12 mesi gli agenti Domenica Fulco, Vincenzo Cassalia, Concetta Sorbilli, Maria Cinanni, Umberto Fabio Falcone, Giacomo Mauro e Paolo Cilione. Per i pm, i vigili indagati erano soliti sottrarre sistematicamente la merce esposta per la vendita da ambulanti di origini extra-comunitarie. Nell’ordinanza di misura cautelare, il gip Vincenza Bellini aveva sottolineato «la spregiudicatezza e il forte senso d’impunità degli indagati».

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