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Un momento della rivolta di Reggio Calabria, a sinistra Paolo Romeo

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Un quarto di secolo di carcere al processo Gotha in primo grado. Una nuova puntata del romanzo criminale di Paolo Romeo.

Tra patrie galere e Montecitorio, con il braccio teso dei fascisti e la grisaglia dei ministeriali socialdemocratici di Cariglia. Una sorta di nodo gordiano dei mille misteri di Reggio Calabria, città frequentata da mezzo secolo da barbe finte, affaristi, massoni a braccetto con caporioni della ‘ndrangheta.

Paolo Romeo, intelligente, colto, raffinato, ha oggi 74 anni. Conteso dai salotti della Reggio bene, ma di casa anche ad Archi, regno dei suoi amici De Stefano. Aprì anche una libreria di libri di destra a Reggio ma non fu molto fortunata.

Se sei forestiero e chiedi conto a Reggio Calabria a persone per bene, la loro voce si abbassa, cercano di spiegarti, ma la linea della Palma in quel posto è antica, parallela con Palermo e Catania.

Un imprenditore mi dice sul ruolo svolto da Romeo: “Da Napoli in su certi affari economici vengono attribuiti alle lobby. Dal Volturno in giù diventa associazione mafiosa”.

Romeo al Processo Gotha ha ammesso finalmente di aver svolto un ruolo nella latitanza di Franco Freda, il neofascista coinvolto in piazza Fontana. Ma poi dice che è sempre stato un socialista.

Il vicesindaco Tonino Perna, suo compagno di scuola, ne ricorda bene il collocamento nei fascisti locali. Anche altri di sinistra ne ricordano il ruolo da capo mazziere in piazza. Un picchiatore duro e spietato. Non erano fascisti qualsiasi. Gli storici dell’eversione nera ne segnalano la presenza con quelli di Avanguardia Nazionale alla battaglia di Valle Giulia insieme ai sessantottini rossi che non sono scappati più davanti alla celere.

Era nei fascisti con doppia tessera Msi e Avanguardia Nazionale. Sarà presente in tutti i processi di ‘ndrangheta da alto livello.

 Il fratello ammazza a coltellate un Dominici ad una tarantella in piano centro. Fratelli Romeo e fratelli Dominici. Eversione nera e onorata società che s’incrociano tra pentiti e vicende oscure.

Una carriera galoppante nel Psdi ministeriale. Eletto nel collegio di Catanzaro. Segretario della commissione di vigilanza della Rai, capello curato, faccia da

 da dittatore sudamericano. Dicono sia stato candidato anche nel Pds alle comunali a Reggio. Ma non si trovano riscontri. Forse una leggenda urbana che ne ingigantisce il carisma. E’ stato anche nel Partito Radicale per difendersi. In consiglio comunale di Reggio Calabria ha seduto nei banchi del Msi e del Psdi.

Preciso e chirurgico in ogni aspetto della sua altalenante carriera. Molti apprezzano di aver sanato a Villa San Giovanni l’area dismessa della Fiat diventata il Centro commerciale “La perla dello Stretto”. La magistratura non la vede nello stesso modo.

A raccontare di lui ai magistrati reggini nei primi anni Novanta è il pentito di ’ndrangheta, Filippo Barreca, secondo cui l’anello di congiunzione tra Cosa nostra siciliana e la ’ndrangheta reggina era lui, l’avvocato Paolo Romeo, appartenente alla cosca De Stefano. Scrivono i magistrati palermitani: “È personalmente dall’avv. Romeo, indicato altresì dal Barreca come massone, appartenente alla struttura Gladio e collegato con i servizi segreti, che il collaborante ha riferito di avere appreso che nel 1990-91 egli era interessato a un progetto politico che puntava alla separazione delle regioni meridionali dal resto del Paese”. Il burattinaio secondo i giornali, l’uomo più potente a Reggio Calabria nella voce popolare.

Secondo Barreca il delinearsi dell’ennesimo piano politico era avvenuto a Milano dove era avvenuto un incontro tra i clan calabresi facenti capo ai Papalia e i padrini esponenti di Cosa nostra. Esponente della destra eversiva fin dagli anni 70, vicino ai servizi, massone, Paolo Romeo viene arrestato nel 1980 per aver coperto e favorito la latitanza di Franco Freda. Romeo procurava nascondigli al neofascista, tra cui l’abitazione del pentito Filippo Barreca. È Romeo che nel 1970 avrebbe organizzato un incontro tra il golpista Junio Valerio Borghese ed il gruppo mafioso dei De Stefano quando il comandante era in combutta con i capi di destra della rivolta di Reggio Calabria.

I pentiti che hanno svelato la struttura della massomafia, la Santa, sorta di Spectre che avrebbe avuto al vertice sempre lui, Paolo Romeo. Di certo ha sulle spalle una condanna per concorso in associazione mafiosa. Quindi non era un capo per la Giustizia. Ha scontato 3 anni e mezzo di carcere a Vibo Valentia. Nel 2004 lo avevano arrestato per pressioni illecite nei confronti dei magistrati collusi. Indaga la Procura di Catanzaro e tra i sostituti c’è anche Luigi De Magistris. Paolo Romeo viene assolto “per non aver commesso il fatto”.

Fuori dal Palazzo non più deputato scrive le interrogazioni parlamentari, prepara le liste, avrebbe fatto da spin doctor a Peppe Scopelliti da lui definito “un cane di mandria”. C’è sempre un consiglio da dare, una riunione da organizzare per Paolo Romeo. Longa manus di esponenti dipietristi e dei vecchi camerati passati ad Alleanza nazionale. Compare in inchieste con Licio Gelli, nella latitanza di Matacena Junior ma è vittima di un altro errore giudiziario. Paolo Romeo a Reggio Calabria è come la Banda della Magliana a Roma. Qualunque mistero o affare, vero o falso che sia, Paolo Romeo sta sempre nell’elenco dei sospettati.

Ha visto il tempo delle coppole storte che andavano a chiedere alleanza alla politica, e quello recente dei politici andare a bussare alle case riservate dei massomafiosi.

Ora in primo grado a Gotha Paolo Romeo è la testa pensante della ‘ndrangheta, lui l’ideatore del laboratorio criminale di Reggio Calabria. Ai prossimi gradi di giudizio il compito di verificare questo duro giudizio. La storia di Paolo Romeo resta aperta.

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