X
<
>

Gaetano Saffioti

Condividi:
4 minuti per la lettura

PALMI (RC) – Vent’anni di libertà. Gaetano Saffioti, storico testimone di giustizia della Piana di Gioia Tauro ieri ci ha ricordato un suo compleanno speciale: la ricorrenza dell’agognata libertà dal condizionamento della ‘ndrangheta.

Un giorno speciale perché quel giorno lasciò dietro di sé e vinse, dopo notti di riflessioni e tormenti, la paura. Una dimensione umana che spesso ti domina e che qualche volta viene dominata. Gaetano l’ha dominata. «Per vincere la paura, anche di ritorsioni, non serve avere il coraggio- disse pochi anni dopo quella scelta di denunciare chi lo stava stritolando con estorsioni di ogni tipo – ma prendere coscienza e avere consapevolezza di una paura più grande; quella di non aver fatto nulla per cambiare le cose e lasciare in eredità a chi verrà dopo di noi, questo mondo malato».

Alla fine per lui la paura più grande era quella di sentirsi un vigliacco carico di rimorsi così forti da non riuscire a guardare negli occhi il suo futuro, prigioniero, com’era delle imposizioni che la ‘ndrangheta che tutto controllava e che tutto gli imponeva. Anni di maturazione ma anche ribellione. Non ci riusciva proprio Gaetano, il primo vero grande accusatore delle famiglie più imponenti della ‘ndrangheta del mandamento tirrenico, ad accettare quelle imposizioni che spesso avvenivano con inviti quasi gentili altre con vere e proprie minacce.

La sua storia personale e familiare finita anche in un libro “Questione di rispetto”, scritto dal collega Peppe Baldessarro non poteva accettare che quell’eredità di valori fosse mezza sotto i piedi e che nonostante il lavoro e il sudore quotidiano altri parassiti potessero usufruire di quei sacrifici. Poi la svolta, la ricerca di fiducia di un magistrato a cui raccontare tutto, la speranza di riuscire a farsi, non solo ascoltare, ma anche supportare, gli diedero gli stimoli giusto e fatto fare ciò che voleva fare da tempo. «Se non avessi trovato l’accoglienza, la giusta attenzione di quel magistrato e soprattutto l’umanità forse me ne sarei tornato indietro» ha sempre raccontato. Quel magistrato si chiama Roberto Pennisi ed è stato uno dei pm più lungimiranti che abbia lavorato a Reggio Calabria. 

«Credo che si possa e si debba cambiare, con tutto quello che ci può accadere. Si deve combattere in prima linea, in trincea a fianco di chi ne ha bisogno, e come non si abbandona un amico in difficoltà, così come non si deve abbandonare una terra e i suoi abitanti» disse sempre Saffioti raccontando la sua coraggiosa decisione. Lui, imprenditore del movimento terra e del calcestruzzo, settori da sempre fagocitati dalle famiglia di ‘ndrangheta, venti anni fa disse basta e con le sue dichiarazioni diede vita all’importante operazione di polizia Tallone d’Achille, che portò nel 2002 all’arresto e alla successiva condanna, per associazione di tipo mafioso ed estorsione, di 48 esponenti delle famiglie mafiose dei Bellocco, Mazzagatti, Romeo, Nasone, Piromalli e  contribuì anche in modo determinante in altre operazioni della magistratura contro la ‘ndrangheta: nel 2007 operazione Arca[, nel 2010 operazione Cosa Mia, nel 2011 operazione Scacco Matto.

Sigaro in bocca quasi sempre anche se di recente preferisce la pipa Gaetano appare come una sorta di gigante buono, pronto a dare consigli a chiunque ne abbia bisogno, impegnato nel sociale: tante sono le due testimonianze nelle scuole e nelle associazioni antimafia. Preferisce gli spaghetti alla pasta corta ed è sempre stato un buon commensale dal sorriso somatico e caratteristico del suo modo di essere e di vivere. Vent’anni sotto scorta non sono per lui una sconfitta ma la celebrazione della ritrovata vera libertà: «in effetti – confida – è come se quel giorno uscendo dagli uffici giudiziari dopo aver firmato quelle dichiarazioni – mi sono sentito veramente un uomo libero».

E tra le tante sue coraggiose azioni vi è anche quella di quando non ci pensò due volte a salire su un escavatore per buttare giù la villa abusiva dei Pesce costruita abusivamente a Rosarno, tra l’altro in una zona archeologica. Il bando del comune per demolire quella casa simbolo del potere mafioso andò a vuoto varie volte e nel territorio nessuno tra gli imprenditori locali osò mai arrivare a intaccare l’intonaco di quella casa a Pian delle Vigne. Lo ricordo quel giorno, sempre sigari in bocca, a liberare un pezzetto di quella terra di Calabria nel cuore del territorio dell’antica Medma, Stessa cosa fece quando occorreva demolire un vecchio albergo alla Tonnara di Palmi anch’esso realizzato abusivamente da altra famiglia mafiosa.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE