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REGGIO CALABRIA – Avrebbero condizionato gli appalti pubblici con una concorrenza sleale grazie al controllo, diretto o indiretto, di imprese edili e movimento terra oltre a condizionare il libero esercizio di voto, ad esempio, l’elezione del presidente della comunità montana “Aspromonte orientale”. Sono queste alcune delle accuse contestate alle 39 persone finite in manette stamani ad opera dei carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria.

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Gli arresti sono stati eseguiti anche nelle province di Cosenza, Vibo Valentia e Como, con le accuse di associazione di tipo mafioso, estorsione, porto abusivo e detenzione di armi, usura, illecita concorrenza volta al condizionamento degli appalti pubblici, minaccia, esercizio abusivo dell’attività di credito, truffa, furto di inerti, intestazione fittizia di beni, con le aggravanti di avere agito al fine di agevolare la ‘ndrangheta, e della trans nazionalità.

Oltre agli arresti, sono scattati sequestri per quattro imprese attive nel settore edile e del taglio boschivo, tutte con sede nella Locride, per un valore complessivo stimato in un milione di euro circa.

IL PRESIDENTE ARRESTATO – Le manette, al contrario di quanto emerso in un primo momento, sono scattate anche per Bruno Bova, originario di Ardore, attuale capogruppo di maggioranza e in passato sindaco del paese. E’ lui il presidente della Comunità montana “Aspromonte orientale” coinvolta nella vicenda. E’ stato eletto nel 2007, in sostituzione di Vincenzo Mollace, che aveva retto l’ente per 15 anni. 

DAL “LOCALE” ALLA “CORONA” – L’operazione, denominata “Saggezza”, secondo gli investigatori, ha consentito di documentare gli organigrammi e le presunte attività illecite della ‘ndrangheta, accertando, l’esistenza e l’operatività di cinque «locali» ad Antonimina (famiglia Romano), Ardore (famiglia Varacalli), Canolo (famiglia Raso), Ciminà (famiglia Nesci) e Cirella di Platì (famiglia Fabiano), e individuandone i vertici.   Gli investigatori avrebbero anche individuato gli interessi economici e societari riferibili agli indagati, ed in particolare le attività economiche attraverso le quali avrebbero conseguito i profitti illeciti, accertando anche ipotesi di condizionamento degli appalti pubblici. Le famiglie, secondo l’accusa, avevano la gestione ed il controllo diretto ed indiretto di attività economiche anche nel taglio boschivo in località aspromontane, oltre ad un circuito di usura ed esercizio abusivo dell’attività di credito. 

E per la prima volta, gli investigatori hanno indivduato una nuova struttura di potere della ‘ndrangheta. Si tratta della “corona”, un livello intermedio tra il “locale” che gestisce un territorio limitato e un “mandamento”.

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