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REGGIO CALABRIA – La maxi inchiesta contro la ‘ndrangheta, denominata Martingala, messa a segno dalla Dia tra Reggio Calabria e Firenze (LEGGI LA NOTIZIA) ha «svelato l’esistenza di una folta schiera di imprenditori che hanno fruito dei servigi offerti dall’associazione.

Fra questi, si evidenzia la posizione di Pietro Canale, (socio di maggioranza ed amministratore della CANALE Srl, società molto attiva nel settore della costruzione e gestione di condutture di gas), ritenuto responsabile dei reati di riciclaggio, autoriciclaggio e impiego di denaro, beni, utilità di provenienza illecita; nonché quella dell’imprenditore Antonino Mordà, già interessato in passato da procedimenti in materia di criminalità organizzata».

ECCO I DETTAGLI DELL’INCHIESTA

Con riferimento a Mordà «è stata documentata la straordinaria liquidità di cui disponeva. Le indagini hanno dimostrato che tali risorse, di illecita provenienza, sono state reimpiegate nell’usura e nell’esercizio abusivo del credito, soprattutto ai danni di imprenditori locali in difficoltà. In tale illecita attività, Mordà è stato attivamente collaborato dai suoi più stretti sodali, soprattutto Pierfrancesco Arconte, figlio del più noto Consolato, già condannato nel Processo Olimpia quale elemento di vertice della cosca Araniti».

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Nella rete dell’Antimafia è finito anche, con la contestazione del reato di riciclaggio, un impiegato di banca «sempre solerte nel soddisfare le illecite esigenze di Mordà».

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Un ulteriore filone dell’attività investigativa, approfondito dal Gico del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Reggio Calabria, ha riguardato «le “prestazioni” che l’associazione guidata da Antonio Scimone, considerato al vertice dell’organizzazione, avvalendosi del complesso reticolo di imprese allo stesso riconducibili allocate sul territorio nazionale ed europeo (tra cui la società croata “Nobilis Metallis Doo” e quella slovena “B-Milijon, Trgovina In Storitve Doo”) ha fornito 3 alla famiglia Bagalà di Gioia Tauro ed a Giorgio Morabito, collegati alla cosca Piromalli. Tali imprenditori erano stati destinatari di ordinanza di custodia cautelare in carcere nell’ambito dell’Operazione “Cumbertazione”, condotta dal Reparto della Guardia di Finanza su delega della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, in quanto, quali imprenditori espressione della ‘ndrangheta, avevano agevolato gli interessi di quest’ultima nel settore degli appalti pubblici, costituendo, gestendo e di fatto infiltrandosi in un nucleo di oltre 60 imprese, sostanzialmente consorziate tra di loro, che governavano collusivamente le principali aggiudicazioni dei lavori pubblici nell’area della piana di Gioia Tauro, attraverso insidiose attività di turbativa delle relative aste».

GLI APPALTI

Partendo da queste risultanze, l’attività investigativa delle fiamme gialle reggine si è concentrata «sulla ricostruzione dei flussi finanziari legati all’aggiudicazione di due appalti pubblici, entrambi finanziati con i fondi europei Pisu (Piani Integrati di Sviluppo Urbano), che il cartello d’imprese predetto, sotto la regia del Morabito, ha ottenuto con le accennate modalità delittuose. Si fa specifico riferimento, in primis, all’appalto, gestito di fatto dai Bagalà e da Morabito, relativo al “Centro Polisportivo a servizio della città – porto” (l’ambito portuale interessato ricadeva nel Comune di Rosarno che era l’ente appaltante).

A tal riguardo, è stato accertato che «la società formalmente aggiudicataria della gara pubblica (Barbieri Costruzioni Srl) aveva ottenuto un’anticipazione dal l’ente per 877.557,12 euro. Tale somma, a sua volta, per circa 670 mila euro, era stata fatta confluire dai conti correnti della “Barbieri” sui rapporti finanziari delle società italiane riconducibili a Scimone e, da qui, successivamente, su quelli delle imprese estere (NOBILIS METALLIS Doo e BMILIJON). Infine, da tali conti esteri, sono stati disposti bonifici in favore di vari imprenditori coinvolti nel sistema (tra cui Mordà ed Canale) nonché prelevate somme in contanti da Scimone che sono state poi consegnate a Morabito».

Anche in relazione al secondo appalto, relativo al “Centro Polifunzionale – lato sud del lungomare di Gioia Tauro” (il Comune di Gioia Tauro era l’ente appaltante), «è stato accertato che quest’ultimo ente pubblico aveva concesso alla società aggiudicataria dei lavori (“Cittadini Srl”) un anticipo sull’importo del SAL per 775.966,66 euro a fronte di fatture emesse, tra le altre, da imprese riconducibili allo stesso Scimone. Tutto ciò a conferma che “il cd. Sistema Scimone”, ricorrendo ad un articolato schema di imprese nazionali ed estere nonché ai correlati rapporti economici e finanziari, ha di fatto garantito ad intere filiere criminali riconducibili alle principali cosche di ‘ndrangheta locali, adeguato, sicuro e protetto canale per riciclare i proventi illeciti derivanti, tra gli altri, dei delitti di associazione per delinquere di tipo mafioso e turbata libertà degli incanti».

Le indagini hanno evidenziato «la caratura criminale di Antonio Scimone, riciclatore professionista al servizio non della singola cosca, ma della criminalità organizzata della provincia reggina unitariamente intesa, per conto della quale si è prestato sistematicamente a favorirne gli interessi economici attraverso il suo collaudato sistema di società di comodo italiane e straniere. Oltre ai soggetti fermati, a conclusione della lunga e laboriosa attività d’indagine, sono state denunciate, a vario titolo, 46 persone».

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