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Il luogo dell'omicidio

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REGGIO CALABRIA – Svolta nelle indagini sull’omicidio di Fabio Giuseppe Gioffré (LEGGI LA NOTIZIA DELL’OMICIDIO), i carabinieri del Comando Provinciale Carabinieri Carabinieri di Reggio Calabria, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia reggina diretta dal Procuratore della Repubblica Giovanni Bombardieri, infatti, hanno dato esecuzione ad una ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip Filippo Aragona, nei confronti di 3 persone, ritenute responsabili, a vario titolo, di omicidio, estorsione, porto e detenzione di armi, con l’aggravante delle modalità mafiose.

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La misura in esecuzione scaturisce dalle indagini avviate a seguito dell’omicidio di Gioffré, allevatore di Seminara (RC) ucciso il 21 luglio scorso in un agguato mafioso in cui rimaneva ferito anche un minore bulgaro.

In particolare, le indagini dei Carabinieri hanno permesso di fare luce sul contesto in cui è maturato il delitto, riconducibile alle articolate dinamiche criminali del territorio della Piana di Gioia Tauro, e di individuare uno degli autori materiali dell’omicidio.

Ad essere arrestati sono stati Domenico Fioramonte, cl. ‘77 di Taurianova; Giuseppe Domenico Laganà Comandé, cl. ‘98 di Polistena e Saverio Rocco Santaiti, cl. ‘60 di Seminara. In fase esecutiva, inoltre, i militari dell’Arma di Gioia Tauro hanno tratto in arresto, al termine della perquisizione domiciliare, anche Fioramonte Salvatore, cl. ’85, trovato in possesso di un revolver cal. 38 con matricola abrasa, carico, occultato all’interno di un armadio del garage della propria abitazione di San Ferdinando.

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Il provvedimento scaturisce dalle indagini, collegate al più ampio contesto investigativo delineato dall’operazione “ARES” del 9 luglio scorso, che ha evidenziato la preponderante influenza delle formazioni della ‘ndrangheta di Rosarno (RC) sulle attività delittuose nella Piana e nei comuni pre-aspromontani, avviate dai Carabinieri del Gruppo di Gioia Tauro e coordinate dal Procuratore Aggiunto Gaetano Calogero Paci e dal Sostituto Procuratore Adriana Sciglio, «a seguito dell’omicidio commesso di Fabio Giuseppe Gioffrè, esponente di vertice dell’omonima cosca seminarese inquadrata nel mandamento tirrenico della ‘ndrangheta reggina».

La ricostruzione dell’omicidio

Gli inquirenti hanno evidenziato come «il 21 luglio 2018, in contrada Monte di Seminara, in un terreno di proprietà in cui svolgeva l’attività di allevatore, il pregiudicato Fabio Giuseppe Gioffrè, detto “Siberia” veniva ucciso a colpi d’arma da fuoco da due soggetti travisati. Nell’agguato rimaneva ferito anche un minore bulgaro, colpito al torace ed al braccio sinistro, e nella circostanza il capannone insistente sul fondo agricolo veniva parzialmente danneggiato da un incendio, probabilmente appiccato dagli stessi autori dell’omicidio».

Le indagini «hanno permesso di ricostruire la dinamica dell’agguato e di accertare le responsabilità, quale esecutore materiale dell’omicidio in concorso con un altro soggetto in via di compiuta identificazione, di Domenico Fioramonte, titolare di un frantoio a Seminara, ritenuto contiguo ai “Grasso” di Rosarno.

L’omicidio si inserisce «nell’ambito delle dinamiche estorsive poste in essere dai gruppi “Laganà” e “Santaiti”, entrambi attivi nel territorio di Seminara e, a tratti, contrapposti alla cosca “Gioffré”, di cui Fabio Giuseppe Gioffrè era un esponente di rilievo».

Nel corso degli accertamenti svolti per l’operazione “Ares” (SCOPRI I CONTENUTI SULL’OPERAZIONE ARES), infatti, erano state intercettate conversazioni ambientali dalle quali emergeva che «nel maggio scorso i Fioramonte, legati da vincoli di parentela con i “Grasso”, si erano rivolti a Rosario Grasso per cercare protezione dalle continue e pressanti pretese estorsive dei “Laganà” e dei “Santaiti”, che stavano “strozzando” l’attività imprenditoriale di famiglia».

In questo contesto «aveva sin da subito assunto rilievo la figura di Fabio Giuseppe Gioffré (la vittima dell’omicidio), attivatosi autonomamente per portare davanti ai “Grasso” (la cui cosca non operava in Seminara ma si adoperava per i Fioramonte, considerati vicini alla famiglia) i soggetti che avevano commesso estorsioni nei confronti dei Fioramonte, ossia Laganà Comandé Giuseppe Domenico e Santaiti Saverio Rocco».

L’intervento dei “Grasso” è stato duplice «poiché consistito – spiegano gli inquirenti – sia nel chiedere a Laganà Comandé di non vessare più i Fioramonte, sia nello spronare questi ultimi a reagire duramente nei confronti di ulteriori tentativi di estorsione, potendo contare proprio sull’autorevole appoggio dei “Grasso”. Nei confronti dei “Santaiti, che rifiuteranno di ridiscutere i termini dell’estorsione poiché ritenuti frutto di accordi pregressi e ormai consolidati, i “Grasso” valutavano di interessare un altro gruppo criminale di spessore, i “Bellocco”, per convincere i “Santaiti” a desistere dalle pretese finora attuate».

Si tratta «di un ambito particolarmente insidioso, in cui il Gioffré – proseguono gli inquirenti – dimostrava in maniera evidente una certa disinvoltura e una evidente credibilità, come attestato dai colloqui con il capocosca Grasso Rosario e dall’iniziativa di portare davanti a quest’ultimo Laganà e Santaiti. Il suo ruolo appare però molto delicato e rischioso poiché, in labile equilibrio fra rapporti obliqui e opachi, risultavano sin da subito concreti elementi che facevano intravedere un suo personale interesse nella vicenda. È risultato quindi fisiologico che, nella famiglia Fioramonte, taluni riponessero fiducia nella capacità di mediazione del Gioffrè, mentre altri apparivano infastiditi dall’intromissione di quest’ultimo. La ricostruzione complessiva del contesto in cui è maturato l’evento delittuoso evidenzia come l’omicidio di Gioffrè costituisca la reazione sanguinaria della famiglia Fioramonte alle reiterate richieste estorsive ricevute dai mafiosi di Seminara, perpetrata da Domenico Fioramonte con l’evidente scopo di porre fine, con tale azione eclatante, così dimostrando di possedere un’analoga capacità criminale, alle reiterate ritorsioni subite dalla sua famiglia dai mafiosi seminaroti».

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