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Don Pino Demasi

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di don PINO DEMASI*

AL n. 43/53 di via Catena a Polistena, da diversi anni si è tagliato il nastro tricolore: taglio di inaugurazione, ma soprattutto taglio col violento e illegale passato. Quello che era il palazzo dei Versace, la più potente famiglia della ‘ndrangheta loca le, è ormai “Centro polifunzionale Padre Pino Puglisi”. Il palazzo Versace, appunto, un tempo simbolo del potere mafioso, oggi simbolo della speranza e del riscatto. Ieri il palazzo del “Bar 2001” (dal nome del Bar ubicato al pianterreno e battezzato così negli anni ’80, nome pretenzioso, di una cosca che diceva «Siamo noi il fu turo ») oggi “Centro polifunzionale Padre Pino Puglisi”. Ieri ricordato dai mass media, come luogo davanti al quale la sera del 17 settembre 1991 si consumò quello che ancora oggi viene ricordata come ‘la strage del bar 2001’.

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Due fratelli Versace vennero uccisi e un terzo si salvò solo fingendosi morto. Era la risposta della potentissime cosche della Piana al tentativo dei polistenesi di allargarsi verso la costa, violenza contro violenza. Una vera azione di guerra, quattro auto e sedici killer. Fu l’inizio della caduta dei Versace. Oggi conosciuto in tutto il Paese come segno concreto di cambiamento nel nome di Padre Pino Puglisi che diede la sua vita perché i ragazzi di Brancaccio e di tutte le periferie non cadessero vittime di faide mafiose. Ieri luogo di incontri e di affari. Per i mafiosi e i loro alleati, ma pur troppo anche di tanti giovani. La zona dove sorge il palazzo non solo è il quartiere generale di alcune famiglie mafiose ma è una zona dove mancano centri di aggregazione per i giovani. L’unico punto di incontro, oltre alla strada, era fino a qualche tempo fa proprio il bar, con tutti gli aspetti negativi che ne conseguivano».

Oggi la struttura è stata già in gran parte ristrutturata e trasformata in un motore sociale per il territorio, con un centro di aggregazione giovanile con aree per attività formative e ludico-ricreative, con l’attivazione dell’ambulatorio di Emergency con servizi socio-sanitari per migranti persone disagiate, di uno sportello dei diritti, di un ostello sociale per i ragazzi dei campi di E!state Liberi, di una bottega per la vendita dei prodotti della cooperativa Valle del Marro e delle altre cooperative del marchio Libera Terra. Una struttura che incomincia anche a produrre lavoro vero per immigrati e giovani che saranno formati adeguatamente, smontando così anche l’odioso mito della mafia che dà lavoro, ma che in realtà trasforma il lavoro da diritto in favore e in ricatto. Anche per la piazza di fronte, si respira area nuova. Da anni dedicata a Giuseppe Valarioti, insegnante e segretario del Pci di Rosarno, ucciso nel 1980 dal clan dei Pesce la se ra della vittoria alle elezioni comunali, ma il suo nome nella piazza non era mai comparso. Ora, invece, il cartello c’è: Piazza Giuseppe Valarioti, vittima della mafia. E la cosa bella che quella stessa gente che ieri la chiamava la “Piazza del 2001” oggi con commozione la chiama Piazza Valarioti.

«Cambiare per restare, restare per cambiare», era il vecchio slogan dei primi giovani della Piana che si sporcarono le mani per costruire il cambiamento. Sempre valido. Soprattutto qui, in questo ex palazzo dei mafiosi e ora segno visibile di speranza. *Referente di Libera per la Piana di Gioia Tauro

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