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Lina Siciliano e Francesco Costabile con la locandina del film

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IL PRIMO no è la disobbedienza a un ordine di routine, a tavola l’uomo va servito dalle femmine. Da quel momento Rosa gli occhi non li abbasserà più. Poi un barattolo di vetro scagliato in terra, e lei graffia, brucia, distrugge tutto, guidata da un furore inarrestabile.

“Una femmina” è un affresco tragico di terribile bellezza, dove il pathos del dramma è strumento narrativo per una storia di formazione antica ma non anacronistica, anzi materia viva dei nostri tempi. Passato e presente, dove il demone della Calabria è ancora la ‘ndrangheta. Ma quella del film del cosentino Francesco Costabile presentato ieri sera a Berlino non è un fumetto pittoresco, né argomento classico per un noir, che sarebbe stato mero esercizio stilistico. Invece il personaggio di Rosa si collega alle vite vere di Maria Concetta Cacciola, Giuseppina Pesce, Rosa Ferraro – le “Fimmine ribelli” del libro di Lirio Abbate da cui nasce il film, donne che si sono ribellate alla schiavitù delle famiglie criminali.

La metà femminile delle ‘ndrine non è un contrappasso soave della violenza maschile. Non c’è accoglienza, né misericordia. Sono corazzate dal dolore e svuotate, sono “bestie sbandate” che senza la protezione degli uomini del clan non esisterebbero. Gli stessi uomini che sono da sempre la loro fatale rovina in un’atavica mitologia del sangue: figli partoriti e pianti nei lutti delle faide, padri padroni, mariti che le giustiziano come streghe in nome dei codici d’onore.

La straordinaria Lina Siciliano punta sullo schermo due pupille nerissime da lupa, che affondano nell’anima e snudano quei segreti che sono cose brutte e fanno male. Rosa lo sa da un legame medianico con la madre, scomparsa quando lei era bambina, eliminata barbaramente perché aveva tradito. Non è più tornata se non in sogni angosciosi e rivelatori, che raccontano una verità diversa da quella della nonna Berta (Anna Maria De Luca, brava da pelle d’oca) e dello zio Salvatore (Fabrizio Ferracane). Non era pazza la mamma di Rosa, sciolta nell’acido e fantasma di una cripta spoglia, dove non c’è neanche il nome. Immagini fisse che si dissolvono fuori fuoco, ombre, visi che respirano dietro spiragli di porte.

In questo film il paesaggio fotografato da Giuseppe Maio somiglia alle donne, è aspro eppure cancellato, arreso. I morti non parlano e il silenzio dona a loro la pace, ma Rosa non ha paura, come Antigone ha il cuore ardente per cose agghiaccianti. E’ una lady vendetta fredda e impetuosa, che si addolcisce soltanto nell’amore.

Costabile non fa un’agiografia di redentrici dei peccati maschili: le donne contendono il comando agli uomini, ma possono farlo perché hanno rinnegato la propria natura per imparare la brutale violenza. Berta, inflessibile amministratrice degli affari di famiglia, si è vista ammazzare i figli, è una belva ferita a morte e rimasta in piedi senza più cuore. L’unica via di scampo sembra la fuga verso un mondo libero, lontano dalla malaterra calabrese, bellissima e avvelenata. Non ce la meritiamo, dice Gianni (Mario Russo) dedicando una serenata d’addio al profilo aguzzo della montagna che guarda per l’ultima volta (uno scenario mozzafiato delle location del film, girato a Verbicaro, e anche a Santa Maria del Cedro, Orsomarso e Papasidero).

Corale cantico calabrese (interamente recitato in dialetto, con dialoghi densi e perfetti) e fiaba dark, “Una femmina” è lirismo e tragedia antica, la ‘ndrangheta come metafora dei traumi tra genitori e figli (“famiglie, io vi odio”, diceva Gide) e di una ricerca identitaria che è pure quella personale dell’attrice Siciliano. E del regista Costabile: la sua Calabria è nelle tarantelle e le nenie tradizionali (integrate alle musiche originali del compositore Valerio Camporini), nelle corse della cinepresa in vicoletti asfissianti e gli orizzonti di boschi immoti – non c’è mai il mare, elemento calabrese iconografico per eccellenza e di solito simbolo di salvezza, una scelta scenica che accentua l’atmosfera di oppressione.

Rosa attraversa l’odio e si scopre centro gravitazionale di un cambiamento che in silenzio le chiedono tutte le altre donne del paese. Sa che le femmine dagli uomini ottenere il loro rispetto – e il potere – devono tremare. Se invece, come lei, sono indomabili cavalli pazzi il conflitto tra sessi è per la supremazia di conquistarle. Lo scontro ad alto tasso di tensione tra Rosa e don Ciccio (Vincenzo Di Rosa) è il punto di rottura tra schiavitù e libertà, nel nome di tutte le femmine che non hanno voce o a cui l’hanno spezzata.

Questo film non mitiga e non consola, lo spettatore prende tanti pugni nello stomaco – l’impetuosa rabbia e la disperazione di Rosa. Ma l’amore è più forte ed è l’unica miccia possibile per una rinascita, che, nonostante tutto, continua ad essere mestiere delle donne, racchiuso nel mistero della maternità. A Berlino l’opera prima di Costabile è piaciuta e ha emozionato, il 17 febbraio il film arriverà nelle sale italiane con una doppia anteprima speciale calabrese (a Cosenza e il giorno dopo a Diamante).

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