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ROMA – Ventimila anni fa il Ponte sullo Stretto di Messina non sarebbe servito. Una sella di roccia, sommersa nelle acque fra Scilla e Cariddi, emerse in quel periodo, consentendo il passaggio dell’Homo Sapiens dal continente in Sicilia. Una occasione unica per il nostro antenato che con le sue fragili piroghe non avrebbe potuto attraversare quel tratto di mare in cui le correnti, all’epoca, erano ben quattro volte più violente di oggi. A scoprirlo è stato un team internazionale di scienziati coordinati dall’Enea che oggi hanno presentato i risultati della ricerca a Roma. Con l’emersione di un ponte continentale fra l’Europa e la Sicilia, «in un periodo compreso tra 27mila e 17mila anni fa, si può ora spiegare come mai la migrazione sulle coste siciliane di Homo Sapiens e di alcuni grandi mammiferi con poca capacità a nuotare, sia avvenuta con ritardo rispetto all’Europa» ha affermato Fabrizio Antoniolo, geomorfologo dell’Enea nel presentare la ricerca. 

Lo studio, durato due anni, ha impegnato, con l’Enea, ricercatori del Max Planck Institute, dell’Australian National University di Canberra, e di numerose istituzioni scientifiche italiane fra cui Cnr, Ispra, e le Università Palermo, Roma La Sapienza, Napoli, Messina, e Trieste. I risultati della ricerca multidisciplinare documentano come, nel corso dell’ultima glaciazione, il mare, in quel tratto fra la Calabria e la Sicilia, si sia abbassato fino a creare un arco. «La sella sommersa nello Stretto di Messina, che oggi si trova ad una profondità di 81 metri sotto al livello del mare, ha costituito per l’Homo Sapiens l’unica possibilità di collegamento tra l’Italia peninsulare e la Sicilia» ha detto ancora Antonioli nel corso della conferenza cui hanno preso parte anche il responsabile dell’Unità Tecnica Modellistica Energetica Ambientale dell’Enea, Vincenzo Artale, l’oceanografo dell’Enea Gian Maria Sannino, il geologo marino de La Sapienza di Roma, Francesco Latino Chiocci, e la paleontologa de La Sapienza Maria Rita Palombo. Secondo i ricercatori, inoltre, questo passaggio naturale fra la Sicilia e la Calabria ha fatto arrivare sull’Isola anche mammiferi oggi scomparsi come l’Equus hydruntinus, i cui resti sono stati rinvenuti dagli scienziati nella grotta di San Teodoro, nei pressi di Messina. 
«La presenza di forti correnti, valutate fino a 16 nodi, nel braccio di mare che separa per circa 4 chilometri la punta meridionale della Calabria dalla Sicilia rende inverosimile – hanno detto i ricercatori – ogni ipotesi che il nostro antenato Homo Sapiens abbia potuto traversare a nuoto e con barche rudimentali questo tratto». Per arrivare a queste conclusioni, gli scienziati si sono serviti del calcolo delle variazioni del livello del mare e dell’analisi integrata dei dati più recenti raccolti in differenti discipline come la geologia marina, la tettonica, la geofisica, la modellistica oceanografica, la paleontologia e l’antropologia. «Con questo studio molti dei nostri ricercatori hanno tradotto competenze sul nucleare, sul clima o sull’energia in conoscenza in settori differenti della scienza» ha detto il Commissario dell’Enea, Giovanni Lelli, intervenendo alla conferenza.
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