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QUELLA di Saverio Strati, morto a Firenze mercoledì scorso (LEGGI LA NOTIZIA), è stata la storia di un narratore meridionalista che, partendo dalla propria esperienza di vita, ha narrato la sua gente senza mai rischiare di fare letteratura di margine, anzi innestando i problemi degli umili del Mezzogiorno d’Italia nei problemi dell’umanità del Novecento in Occidente. Un’umanità nata e vissuta nel contesto delle crisi generate dai conflitti di classe e dalle grandi trasformazioni sociali. Un’umanità vissuta con la necessità di trovare giustizia per le legittime aspirazioni personali e collettive di chi aveva soltanto braccia per lavorare, lottava ogni giorno per avere il necessario per vivere dignitosamente e osservava il progresso economico e sociale da lontano.

Strati nasce in un piccolo paese in fondo allo Stivale nello stesso anno in cui Antonio Gramsci, da lui studiato come importante riferimento culturale e politico, fonda all’estremo opposto dell’Italia l’Unità e lo sottotitola “il quotidiano degli operai e dei contadini”. Quasi un segno premonitore per un narratore che in tutta la sua vita si è occupato delle difficoltà e delle speranze di contadini, di emigrati, di operai e delle loro famiglie. Le riflessioni di Strati sulle note di Gramsci pubblicate in Letteratura e vita nazionale spiegano molto bene la coscienza di scrittore che descrive realisticamente il mondo da lui osservato in maniera non conformista.

Lo scrittore di Sant’Agata del Bianco si stava avviando verso i suoi novant’anni con un bagaglio pesante sulle spalle costruito sulle sue tante esperienze di lavoro e di narrazione. Una vita in cui il vissuto e il narrato coincidono in maniera unica, perché Strati è un contadino e un muratore che racconta di contadini e di muratori, è un emigrato meridionale che racconta di emigranti del Sud, è un uomo che osserva e narra il suo mondo da lontano mentre sente il legame fortissimo con la sua terra e la sua gente. Per descrivere se stesso, Strati ha usato un termine tipico dei suoi luoghi e comune tra la sua gente, mastro massaro: «Dalle mie parti, in quel lontano tempo del fascismo in cui io nascevo e mi formavo, i muratori, i falegnami, i fabbri, i calzolai e perfino i sarti … prendevano in affitto la terra dei ricchi e venivano chiamati mastri massari. Di questo gruppo di mastri massari fece parte mio padre che era muratore e di conseguenza ne feci parte anche io che dovetti fin dalla più tenera età imparare a dissodare la terra e a costruire un muro a secco…».

Ecco, i suoi luoghi e la sua gente, questi sono due elementi primari e imprescindibili nella narrazione di Strati. La vita di gente umile, di poveri “terroni”, di lavoratori che cercano uno spazio dignitoso e un tempo accettabile per la loro vita e per quella della loro famiglia, nei racconti e nei romanzi di Saverio Strati diventa letteratura di interesse per tutta la Nazione e viene letta e studiata anche all’estero. Una letteratura che è analisi cruda del Mezzogiorno del dopoguerra e degli anni del boom. Un’indagine non indulgente della vita del Sud, un modo semplice e forte allo stesso tempo di rappresentarla. Una narrazione che porta la gente povera del Sud nella storia dell’Europa.

Strati ha narrato il mondo contadino del Novecento, dai ragazzini che crescono in un mondo duro, ai braccianti che quotidianamente sono alla ricerca del necessario per assicurarsi un pranzo e una cena, agli emigranti obbligati ad abbandonare una terra per loro “matrigna”, prima e dopo il boom economico che lascia comunque il Sud in posizione subalterna. Tanti racconti e tanti romanzi che fanno parte di un unico lavoro letterario. Per Strati vale quello che diceva Sciascia della sua opera letteraria: «Tutti i miei libri ne fanno uno. Ho scritto un unico romanzo fatto da tanti capitoli che raccontano la vita nel mio mondo».

Anche se i libri di Strati sono ricordi vivi del nostro passato, la sua letteratura è importante anche per quello che ci può dire oggi, nell’Italia della crisi del nuovo millennio e nel Sud della mai risolta questione meridionale. Serve leggerla e studiarla per conoscere noi stessi, ma anche per cercare quello che potremo essere nei decenni futuri. Saverio Strati ci ha lasciato, infatti, il racconto del nostro passato e la strada per un futuro possibile. Futuro che oggi non riusciamo a intravvedere e soprattutto non sappiamo programmare.

Nella sua narrazione Strati racconta persone e luoghi di un passato povero ma vivo, pieno di difficoltà ma con grandi aspirazioni di miglioramento sociale e civile. Dopo aver traguardato il nuovo millennio, in Calabria centinaia di piccoli paesi e borghi si stanno spopolando e i suoi abitanti rischiano di perdere il benessere acquisito. Sono luoghi in via di estinzione. Per affrontare questi nuovi problemi, la cultura e la letteratura calabrese possono essere d’aiuto e dunque anche l’opera letteraria di Strati che è nata nei luoghi del meridione d’Italia, tra quelle pietre e quelle facce narrate. Un’opera che si è sempre sforzata di raccontare l’uomo meridionale con le sue difficoltà e che ha anche stimolato pensieri e soluzioni per il futuro della sua terra.

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