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Il cargo “Cap. Antonio”, il mercantile affondato nel 1987 a Santa Caterina dello Jonio (Foto di Carlo Codispoti)

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UN museo di archeologia subacquea, la memoria delle sconfitte e delle vittorie nelle grandi battaglie combattute nelle acque del mar Jonio. Sono circa 150 i relitti che “dormono” nel silenzio degli abissi. Una concentrazione unica al mondo, comparabile, probabilmente, solo con quella della rada di Pearl Harbor, la base militare americana delle Hawaii, diventata famosa per l’attacco subito dalle truppe giapponesi nel dicembre del 1941 e che sancì l’ingresso ufficiale degli Stati Uniti nella seconda Guerra Mondiale.

Un tempo erano navi da guerra, testimonianza di tragedia e morte, perché molti uomini sono rimasti intrappolati in vere e proprie gabbie d’acciaio, perchè molti altri sono rimasti uccisi durante l’esplosione. Nonostante il trascorrere degli anni, i relitti calabresi sono in ottime condizioni. Sull’edizione cartacea di oggi del Quotidiano due pagine dedicate a queste straordinarie bellezze.

Almeno quelli in acciaio. La buona conservazione dipende, infatti, dallo spessore. Le parti che resistono maggiormente sono il cannone, il condensatore, le eliche e le cerniere.

Il legno, invece, è un materiale deperibile ma nonostante ciò alcune parti sono state rinvenute. Il motivo? Sono rimaste coperte dalla sabbia e hanno quindi resistito alle attività corrosive delle correnti. Per anni la Calabria è stata porto di navi e convogli. Molte navi raggiungevano le coste nordafricane ma altre concludevano il loro viaggio inabissandosi nei fondali calabresi. Il luogo e la data della scomparsa, le modalità dell’affondamento e il mistero della missione sono tutti interrogativi che il più delle volte restano senza risposta. E da questi presupposti che oltre 25 anni fa nella Locride è nato il “Team Explorer Arcadia” che li ha filmati, fotografati e catalogati. Nel corso degli anni i componenti hanno consultato gli archivi della Marina militare italiana nel tentativo di ricostruire storia e rotte. Avvolti dalla passione per le immersioni subacquee e dalla voglia di scoperta il team è andato a caccia dei tesori marini.

Tutto quello che viene dal fondo del mare è come se venisse dal fondo del passato più remoto e per questo suscita emozioni incontrollabili e un alone di mistero. E’ un mondo tutto da scoprire per gli appassionati di storia, ma anche per chi ama la biologia marina.

La natura ha fatto rinascere questi relitti, che da simboli di guerra sono diventati simboli di vita: lungo le fiancate degli scafi proliferano colonie di alghe e di spugne, gorgonie adornano ponti, ancore e ciminiere, pesci guizzano tra le lamiere arrugginite. Relitti che rappresentano anche un punto di transito per i pelagici stagionali. Infatti, le prede più importanti in cui ci si può imbattere sono cernie bianche, spigole, murene, dentici, saraghi, pesci balestra e granchi. Ma durante le stagioni adatte è facile incontrare anche ricciole e altri pelagici. E’ c’è da ricordare che lo Jonio è l’habitat prediletto, per non dire esclusivo, di “surici” e cavallucci marini: un vero spettacolo.

I RELITTI

La provincia calabrese che “ospita” più tesori è quella di Reggio Calabria, in particolare la zona di Capo Spartivento, dove aerei, sommergibili e scafi giacciono sul fondale. Il mar Jonio, negli anni della seconda guerra mondiale, si era trasformato in una rotta bellica, passando lo Stretto di Messina, verso l’Africa e i Balcani. Quella striscia d’acqua fu teatro della battaglia dei convogli che trasportavano spesso i rifornimenti alle truppe combattenti. Si tratta di navi italiane, greche, turche, anglo-americane e cipriote. Molte vennero colpite e scivolarono lentamente nei fondali. Sono circa 150 le imbarcazioni che fra il 1941 e il 1943 hanno subito questa sorte al largo delle coste calabresi. Relitti che col passare degli anni sono diventati dimora di numerose specie marine. Alcuni di questi, grazie alla vicinanza alla costa e alle buone condizioni dello scafo, sono diventate la meta ideale per un’esplorazione subacquea fuori dai soliti schemi. E’ il caso della “presunta” Pasubio, un piroscafo italiano di 2.216 tsl (tonnellata di stazza lorda), lunga 95 metri e larga 13 che il 16 febbraio del 1943, durante la sua rotta da Crotone a Messina, fu silurato al largo di Roccella Jonica dal sommergibile britannico “Unrivalled”.

«Questo è quello che si dice e quindi si prende come riferimento un percorso storico – spiega Carlo Codispoti, uno dei componenti del “Team Explorer Arcadia” – Da anni il relitto viene chiamato Pasubio, ma dalle numerose immersioni ancora oggi non esiste nessuna traccia del vero nome di questo piroscafo». Dai vari ritrovamenti fatti, tutto fa pensare che non si tratterebbe realmente del piroscafo italiano “Pasubio”, bensì dell’austriaco “Ostrica” che percorreva la stessa rotta e fu abbattuto nelle stesse acque. E’ un’ipotesi, e per il momento tale resta. Il relitto è intero e ben conservato in assetto di navigazione, sbandato sulla sinistra: si trova ad una profondità massima di 43 metri e una profondità minima, sulle sovrastrutture, di 33 metri. Il viaggio nei musei sommersi dello Jonio ha portato comunque a preziose scoperte.

Ad una profondità che varia tra i 34 e 44 metri si trova il piroscafo italiano “Cosala” (Tsl 4.259 – lung. 122 mt.- larg. 16 mt.). Fu silurato ed affondato dal sommergibile britannico “Una” il 10 febbraio del 1943, a due miglia dalla costa di Badolato marina. Il relitto colpisce, in particolare, per la sua imponenza. Si trova in assetto di navigazione: la poppa spezzata si trova a pochi metri di distanza dal troncone principale. Altro esemplare, questa volta angloamericano, si trova a largo di Roccella.

La nave “Liberty Fort Missanabie” (Tls 7.147 – lung. 135 mt. – larg. 17,3 mt.) fu affondata da un siluro del sommergibile tedesco “U-Boat” nel 1944 ad oltre due miglia dalla costa. Il relitto è diviso in due tronconi, la poppa si trova in assetto di navigazione mentre il troncone principale si presenta rovesciato su alcune strutture della poppa stessa, la prua, invece, termina sul fondo rovesciata a meno 80 metri. Sul fondale sabbioso di Capo Spartivento, ad una profondità stimata tra i 25 e i 30 metri, giace la torpediniera italiana “Castore” (Tls 652). Fu colpita e affondata il due giugno del 1943 da due cacciatorpediniere, l’inglese “Jervis” e la greca “Queen Olga”, mentre scortava un convoglio da Taranto a Messina. Vanta, però, un triste primato: è tra i relitti più saccheggiati, colpa di sommozzatori che hanno la mania di portare a casa un souvenir dello scafo. Un relitto di scarso interesse storico, ma interessante dal punto di vista fotografico per la sua bellezza, è il cargo “Cap. Antonio” (Tls 1900 – lung 90 mt – larg 9 mt), una nave mercantile affondata a seguito di una forte mareggiata invernale nel 1987 al largo di Santa Caterina dello Jonio.

Il relitto, che si trova ad una profondità di 13 metri, è diviso in tre tronconi, la poppa in assetto di navigazione, il troncone e la prua ad una trentina di metri di distanza da questa. Una delle ultime scoperte è quella del sommergibile oceanico, di nazionalità italiana, “Ammiraglio Millo” (1.703 tsl – lung 87,9 mt.- larg 7,76 mt.). Il relitto è ben conservato, fortemente sbandato sulla sinistra e appoggiato su un fondale fangoso a meno 70 metri. Fu silurato e affondato nel 1942 da un sommergibile britannico al largo di Punta Stilo. E’ tra gli pezzi pregiati conservati nei fondali.

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