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Chiara, la protagonista del film

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GIOIA TAURO (REGGIO CALABRIA) – La macchina da presa che s’immerge nella profondità di labbra e occhi immensi, corre e rimbalza su dettagli ravvicinati di visi e mani. Invade ed è invasa. Un campo visivo prepotente che poi perde nitidezza, come tra le onde confuse di un incubo, mentre si sgretola il rassicurante microcosmo di una quindicenne calabrese, protagonista di “A Chiara” di Jonas Carpignano.

Il premiatissimo film del regista che ha eletto Gioia Tauro come residenza artistica picchia duro e non lascia scampo, rifiuta le narrazioni compiacenti. La ‘ndrangheta non è un tabù e Carpignano non ha paura di raccontarla con una poetica neorealista molto contemporanea.

Come ha dichiarato lui stesso, in dieci anni a Gioia non ha mai incontrato una vecchietta vestita a lutto e con il fazzoletto in testa (un’iconografia desueta che purtroppo resiste ancora in cinema e fiction), e infatti in questo film i ragazzi sono quelli che vediamo ogni giorno fuori dalle scuole. Indossano jeans e felpe, smanettano sui social, si allenano in palestra, ascoltano Madame.

Chiara è una di loro, ribelle e sognatrice, capace di tener testa al patriarcato familiare di zii e cugini di grandeur maschilista piuttosto che del padre Claudio, uomo mite e quasi timido. Invece proprio lui farà deflagrare la drammatica rivelazione nella scena madre del film, in una felice notte di festa (lunghissimo piano sequenza di pura suspence), il diciottesimo della sorella Giulia.

Se vivi in Calabria certe cose te le aspetti: per accendere il sospetto bastano la gestualità impercettibile di un mento che si solleva, un sussurro origliato a notte fonda, uno scambio di sguardi in codice. Con il ritmo in un thriller e il pathos di una tragedia greca, Carpignano ci conduce insieme a Chiara nell’angosciosa ricerca della verità.

Come in un altro bel film ambientato in Calabria, “Regina” del catanzarese Alessandro Grande, anche qui sono i figli a dare lezioni di etica ai padri. Giovani caparbi e resilienti, su di loro non ha più effetto l’autorità dell’arcaico padre-padrone meridionale. Irrispettosi se serve, perché in credito di futuro, determinati a far pagare al centesimo colpe ed errori degli adulti. Chiara fuma di nascosto, lo faceva alla sua età pure il cugino che vorrebbe farle una ramanzina perché è diverso, lui è un maschio – no, è uguale, replica la ragazza. E non sopporta di essere trattata da bambina, forse smette di esserlo davvero quando le raccontano di Giuseppina Pesce e Maria Concetta Cacciola. La ‘ndrangheta è un veleno che fa morire le piante e ruba il domani a chi ne coltiva orizzonti pieni di promesse. Chiara si accorge di essere istintivamente imbevuta di mafiosità quando disprezza i rom (Carpignano fa un’autocitazione portando la quindicenne in visita al campo dove c’è Pio, protagonista della “Ciambra”), ma per negare il crollo delle sue illusioni tenterà un estremo, inutile atto anarchico. L’opportunità offerta dal giudice Di Bella con il suo programma per i minori a rischio sottratti a famiglie criminali, come nella realtà non è sempre una fiaba di salvezza: Chiara rifiuta l’allontanamento da Gioia Tauro e scappando spera di creare una complicità disperata con il padre latitante.

La famiglia è un nodo indissolubile, stringe forte e lascia segni che straziano la carne. A trenta chilometri dalla provincia marchigiana dove dovrà trasferirsi, si arriva al mare. Ti sentirai come a casa, le spiega l’assistente sociale. Invece casa dev’essere proprio lì, nella sua terra e con i suoi parenti, che ora comprendono e vogliono per lei il riscatto, quella scelta che nessuno ha mai concesso a loro. Non siamo tutti uguali come pensano, le dice il padre, ma non riesce a rispondere alla spiazzante domanda della ragazza: ti piace davvero vivere così, nascosto dal mondo?

La straordinaria protagonista Swamy Rotolo, gioiese esordiente con una bella faccia cinematografica, recita senza un copione stabilito e insieme ai suoi veri familiari, compresa la giovanissima sorellina Giorgia. Il risultato è sorprendente: Carpignano segue la scuola di Pasolini, lavora nelle strade, riproduce la vita e non ha bisogno di artifici. Ma non è un film naif o un esperimento pseudo-documentaristico, l’autorità è una marca subito riconoscibile, da Cannes alla recente selezione Efa.

Il lieto fine di questa storia potrebbe non arrivare mai, Chiara decide di scriverselo da sola, stringendo i denti e custodendo nel cuore i suoi fantasmi calabresi, oltre la rabbia e il dolore.

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