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auditorium dell'Officina delle Culture Gelsomina Verde Scampia nel maggio 2016

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PINO Aprile, giornalista e scrittore. Tu in “Il Sud puzza”, per raccontare come il Sud ricostruisce il suo tessuto sociale usi, a sintesi e metafora, Scampia. E il capitolo è intitolato “Il Riscatto”.

Perché proprio Scampia?

«Perché è nota nel mondo, nella trasposizione letteraria di Gomorra, quale luogo e fonte di ogni male e abiezione. Tanto che quel che tutti credono di sapere su Scampia è più vero di quello che Scampia è. Un po’ come quando, a Visegrad, in Bosnia, vidi il ponte sulla Drina e non pensai che ispirò a Ivo Andric il suo immenso libro, ma che il libro lo ha fatto esistere. Tutti credono di conoscere Scampia (non un “quartiere di Napoli”, ma una città di più di 100mila abitanti) che ha molto meritato di diventare Gomorra, per l’industria della droga che dava pane sporco di sangue a più di ventimila persone, le guerre di camorra, il degrado umano, civile. Questa era Scampia. I saperi consolidati rischiano di divenire inamovibili. Si dimentica che viviamo in un universo simmetrico e, (anche se si fa fatica mentale, a concepirlo) significa questo: dove c’è “meno 1”, guardati intorno e troverai “più 1”. Con questa convinzione andai a Scampia, per “Il Sud puzza” e trovai tanto di quel “più 1” da restarne stordito. Scampia era forse l’area urbana europea a più denso lavoro sociale, a opera di volontari (e qualche paraculo, ma volto, per convenienza, al bene e non al male, il che è buono), preti, operatori pubblici, visionari dotati di senso pratico… Solo la lista delle iniziative e associazioni mi prendeva più pagine del libro e fui costretto a sintetizzarla, per fornire solo linee-guida. Ma la sintesi maggiore, tanto folle da suonarmi velleitaria, mi parve il progetto di Ciro Corona di trasformare uno storico merdaio, l’ex Ipsia, istituto professionale abbandonato e ridotto a droghificio, per spaccio e uso in loco, in Officina delle culture (arte, artigianato, musica, sport, teatro), intitolata a Gelsomina Verde, incolpevole ragazza seviziata e bruciata dalla camorra, perché non rivelò quel che non sapeva dell’ex fidanzato».

Cosa che poi Ciro ha fatto, però.

«Già, ma io non lo credetti possibile, sognando di essere smentito. Lo dissi a Ciro e a Daniele Sanzone, frontman degli A67, che mi guidavano nel lurido tour. Non ricordo più quanti camion servirono per portar via la spazzatura; ma mi è rimasto impresso che si riempirono 40 bidoni di siringhe. Obiettai: non fate prima e spendete meno a dar fuoco a questo inferno e rifar nuovo o altrove? Manco avessi bestemmiato: “Se la vita non rinasce dove regnava la morte, tutto questo non ha più significato”».

Sei tornato in quell’inferno?

«Più volte. Ma l’inferno non c’è più. Lo scarso ero io. I sogni piccoli non sono sogni, ma la misura della nostra insufficienza. I nostri padri greci dicevano che chi chiede poco agli dei, li offende; per onorarne il potere, devi pretendere l’impossibile. Ho raccontato l’Officina e la nuova Scampia in un reportage per Panorama: i ragazzi che fanno teatro, monnezz-design (usano materiali di scarto per far mobili) nel laboratorio di falegnameria; studiano musica e la compongono; loro mamme e sorelle che sudano al pilates, rappresentazioni teatrali, ospitalità a ragazzi “difficili”… In ginocchio, gente e sentiamoci merdine. Nella Scampia che era Gomorra, con 25 piazze di spaccio e centinaia di rivenditori, oggi ce n’è solo una, con cinque spacciatori che guadagnano meno di un muratore; c’è l’Arci-Scampia di Antonio Piccolo, con 500 ragazzini che fanno calcio sotto gli occhi di genitori, nonni; la palestra Maddaloni del patriarca Gianni, che allena altri 500 ragazzi, paganti meno della metà e con i suoi figli riempe la bandiera italiana di medaglie olimpiche, ripagato dal Coni a calci in faccia; la scuola-vela di Mascalzone Latino di Vincenzo Onorato, per gli scugnizzi…»

Scampia oggi?

«Una università, per imparare a rifare il mondo».

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