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Giovanni Tizian

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«Agli anniversari ci sarebbero stati tutti, in posa e col sorriso smagliante di chi non ha preoccupazioni che l’assillano. Il Paese delle parate in cui la commemorazione è il momento della concordia nazionale. Amici e nemici si stringono le mani, fanno il loro discorsetto e poi tornano nello loro case avvolti con il mantello delle ipocrisie».
Giovanni Tizian “Il silenzio. Italia. 1992-2022″. (Laterza)

NEL profluvio di pubblicazioni dedicato alle stragi del 1992 si fa notare per incisività di tesi e buona scrittura il pamphlet di Giovanni Tizian giornalista affermato per inchieste sul campo e libri che gli sono valsi autorevoli premi nazionali.
Aveva 10 anni al tempo del botto di Capaci. Quelle immagini televisive gli riportano alla memoria il tempo in cui la nonna lo aveva portato sul luogo in cui avevano ucciso il papà Peppe nella piazza di Locri, Calabria, terra di ‘ndrangheta. Nella memoria c’era anche incasellata l’incendio del mobilificio di famiglia. Il personale che si lega al collettivo. Una perdita di innocenza la morte di Falcone e Borsellino che induce al trasferimento a Modena in Emilia. In un luogo ben diverso Giovanni trova il suo romanzo di formazione.

Si laurea e diventa giornalista. Giornalista-giornalista alla Siani. Con conseguenze ben diverse. Il 13 gennaio 2012 la sua foto da cronista campeggia su tutti i giornali d’Italia. Hanno scoperto minacce serie della ‘ndrangheta del Nord. Tizian inizia la sua vita sotto scorta. Il Corriere della Sera aggiunge un dettaglio di non poco conto nel suo titolo: “Pagato 4 euro ad articolo”.

Altro dettaglio alla Siani che muore ucciso dalla camorra con il ruolo di abusivo. Il giornalista resta interdetto dalla notorietà. Lo intervistano colleghi internazionali, tutti i politici si mostrano solidali. La sua carriera cambia. Diventerà inviato dell’Espresso, realizza lo scoop sulla Lega noto come “Russiagate”, oggi è vicedirettore del quotidiano “Il Domani”.
A 40 anni offre un bilancio di vita associandolo alla morte di Giovanni Falcone. Con quattro stagioni segnate dai suoi sentimenti per decenni: la paura, la rimozione, la resistenza. Quella che continua oggi con un’informazione fuori dagli schemi. Infatti l’autore ricorda con orgoglio il titolo del suo giornale per il recente trentennale di Mani Pulite: “1992, l’anno che non ha cambiato l’Italia”.

Esponente dell’Italia pulita che combatte la vecchia sporca nazione denunciata da Pasolini, Tizian spiazza col suo prendere posizione. Contro la mafia, ma attento a non sponsorizzare l’antimafia autoritaria a prescindere. Scrivendo a chiare lettere di essere contrario al regime del 41 bis: “l’accanimento sui diritti umani è indegno sempre”. Strumento inutile che impedisce ai bambini figli dell’ala militare, l’unica che arrestano, di abbracciare i loro padri trasformando il Diritto in vendetta”. Il libro di Tizian con lettura piana e agevole intreccia la sua storia personale con quella del Paese in cui la corruzione è diventata “un fatto normale”.

C’è molta Calabria nella sua storia grazie alla sua tragedia contestuale. Da Andreotti che prende il caffè con il capomafia di Gioia Tauro alla grande bolla della stagione dei sequestri con i servizi che trattano i clan spacciando tutto come brillante operazione. E i poveri cristi, come quelli della sua famiglia, che non avranno mai giustizia nella Calabria strabica con le priorità giudiziarie.

E’ la storia di un giovane che si forma guardando “Samarcanda” di Michele Santoro, quella piazza televisiva sdegnata dalle stragi e che ricorda il tragico sequestro in Calabria di Lollò Cartisano, fotografo e amico del padre. Un ragazzo che ha coltivato la solitudine spezzata dal progressismo di una nonna impegnata e attenta al nipote. Giovanni troverà le lacrime a 20 anni in una notte di Natale trovandosi a singhiozzare tra le braccia della mamma ed evocando il nome del papà ucciso. Dalla rimozione alla resistenza. Non ci sarà mai giustizia per suo padre Peppe, bancario, con una storia giudiziaria che s’inceppa su un presunto adulterio che l’autore sviscera con molto onestà. A fronte di Lunardi, Andreotti, Matteo Messina Denaro e la ‘ndrangheta che diventa questione nazionale dopo la strage di Duisburg che sfugge a chi preferiva restare inabissato.

Una fotografia italiana quella di Tizian. Con molti dettagli calabresi. Un selfie editoriale che diventa panoramico. Da leggere per chi è interessato a comprendere un Paese che non riesce ad essere normale.

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