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ROCCA IMPERIALE (CS) – Piovono critiche da ogni parte sul film “Le nozze di Laura” girato da Pupi Avati a Rocca Imperiale e nell’Alto Jonio. Il Movimento 5 Stelle affida a Giovanna De Vita (Meetup Trebisacce in MoVimento) e a Dalila Di Lazzaro (attivista di Rocca Imperiale) la stesura di una nota critica indirizzata al presidente della Commissione parlamentare di vigilanza Rai, Roberto Fico, nella quale, tra l’altro, viene annunciato un esposto all’Agcom per sollecitare «sanzioni nei confronti dei contenuti discriminatori e sessisti del film di Pupi Avati “Le nozze di Laura” e dei responsabili di tale campagna discriminatoria».

La stessa missiva a firma degli attivisti 5 Stelle di Rocca Imperiale, Trebisacce, Amendolara, Villapiana, Canna, Montegiordano e Roseto Capo Spulico, oltre che ai fratelli Pupi ed Antonio Avati è stata inoltrata a Monica Maggioni presidente del CdA RAI, a Giancarlo Leone direttore di Rai Uno, ad Eleonora Andreatta, direttrice di Rai Fiction ed a Demetrio Crucitti direttore Rai Tre Calabria.

«La pellicola girata da Pupi Avati – scrivono – ha riproposto, sotto le mentite spoglie di un’elaborazione in chiave moderna dell’episodio evangelico delle Nozze di Cana, la messa in scena di un considerevole arsenale di pregiudizi e volgari falsità nei confronti della Calabria in generale e dell’Alto Jonio in particolare». I 5 Stelle ritengono che «la fiction è incentrata sulla figura di una protagonista il cui ruolo è stato conformato al modello becero-leghista della donna adulta calabrese che, non riuscendo a conseguire neanche il diploma, viene spedita a Roma dalla famiglia perché trovi un marito ricco alle cui spalle vivere tutta la vita».

La critica è allo stereotipo delle ragazze calabresi, poco emancipate e stupidotte. Nella lettera viene sostenuto che «il razzismo antimeridionale del regista si spinge fino a tratteggiare i personaggi di contorno con pennellate a dir poco medievali», evidenziando che «il padre e la madre accolgono con stizza il ritorno della figlia a Rocca Imperiale a mani vuote, e cioè senza un marito e la puniscono costringendola a lavorare nell’azienda agricola di famiglia, facendole sperimentare quella stessa esperienza di sfruttamento degli immigrati cui la famiglia benestante deve tutta la sua ricchezza». Criticata anche l’approccio del vedovo settantenne che domanda in sposa Laura, «omaggiandola di una collana pacchiana, a significare il cattivo gusto dei calabresi, come se Versace fosse altoatesino».

Critiche piovono anche sulla sceneggiatura, ritenuta «ingenua, goffa e surreale, carica di pregiudizio discriminatorio formulato da centocinquant’anni a questa parte nei confronti dei meridionali». Criticato il dialetto parlato dalla protagonista, dai familiari e da altri personaggi, «tratteggiati come rozzi, retrogradi, opportunisti, razzisti e trogloditi, privi di qualsiasi barlume di intelligenza, incapaci del minimo gesto di umanità e di affetto, quasi delle belve». I «cioccolatini alla ‘nduja», regalati al padre di Laura, sono ritenuti una palese «presa per i fondelli della cucina dei Calabresi». Un lavoro su commissione, lo ritengono i 5 Stelle che vorrebbero capire «chi possa mai essere il committente di questa miserabile opera tesa a gettare fango sulla Calabria, per un film prodotto in famiglia dal regista Pupi e dal fratello Antonio Avati».

Poi, la critica diretta, cruda, nei confronti di Pupi Avati: «Con quest’opera dall’indiscutibile tenore maschilista e antimeridionale, si è consacrato definitivamente come regista di regime e rischia di essere ricordato dalle generazioni future solo per questa miserevole pellicola, che oscura i barlumi di poesia innegabili nelle opere in cui gli è stato permesso di conservare la sua onestà intellettuale». Degli aspetti di critica politica ci occuperemo in seguito ed in altra pagina del giornale.

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