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La morte non fa ridere come nello spot della Big Babol, dove la cowgirl con le trecce bionde fa fuori i nemici a colpi di bolle giganti di chewing-gum, ma in “Bang Bang Baby” la ‘ndrangheta è una parodia dissacrante e anche se si parla di eroina, kalashnikov sonanti e cadaveri sciolti nell’acido lo humour nero regna sovrano. Forse persino soverchia, con il rischio di rappresentare criminali troppo guasconi e simpatici. E parteggiare per loro anziché per le guardie, che nella Milano mafiosa e corrotta degli anni Ottanta non è poi così difficile.

Ad esempio, nella serie tv italiana da oggi su Amazon Prime con le prime cinque puntate, c’è il rampollo del clan, Santo Maria Barone – ovvero Adriano Giannini – prototipo del maschio latino, sexy e mascalzone, capace di irretire insieme alla figlia Alice (Arianna Becheroni), pure le spettatrici, pronte a credere al suo love bombing manipolatorio, subdola tattica per convincere la sedicenne a fare per lui qualche cruento lavoretto.

La storia di “Bang Bang Baby”, nata da un’idea di Andrea Di Stefano e diretta da tre registi (Michele Alhaique, Margherita Ferri e Giuseppe Bonito) che si sono divisi le dieci puntate, s’ispira alla vera vita di Marisa Merico, chiamata principessa di ‘ndrangheta proprio perché erede del principe dei Serraino, Emilio Di Giovine, padre che ritrovò da adolescente, entrando così nella cosca e partecipando alle attività familiari come corriere della droga.

Ambientata nel 1986 tra il Veneto e Milano, sede dei nuovi affari criminali controllati dalle cosche della provincia reggina, la serie è però un racconto di suggestioni della onorata “famigghia”, tra riti di affiliazione con la recita del giuramento di fedeltà e il patto di sangue; raduni in trasferta da Sud a Nord per festeggiare al ritmo della fisarmonica la conquista di un appalto; condomini periferici dove i calabresi vivono con oche e maiali domestici portati a passeggio al guinzaglio.

Personaggio centrale è la feroce nonna Lina (alias “nonna eroina” Maria Serraino, interpretata da Dora Romano), una che tiene alla frequenza scolastica della nipote e da neonata le cantava tenere ninna nanne evocando l’orfanità causa faide. A lei, che respinge la corte del focoso cognato per rispetto di una lunga vedovanza e sogna il titolo di prima donna al tavolo dei Mammasantissima, si contrappone la madre di Alice, Gabriella (Lucia Mascino), femminista contraddittoria che ambisce per la ragazza a un posto in fabbrica e la protezione maschile del capo.

E tra le macchiette calabresi una nota merita la sensitiva Assunta (Giorgia Arena, attrice crotonese), una Cassandra bestemmiatrice che trova gli infami scomparsi meglio di Chi l’ha visto. Per non parlare degli scout di una landa jonica addestrati a stoccare strani pacchetti – si sa che da queste parti i giochi d’infanzia erano lo sterminio di polli ai danni di bande rivali… Comunque molto meglio di Milano con il suo smog puzzolente, assicura nonna Lina.

Molto pittoresco e ovviamente si calca parecchio la mano sugli stereotipi, ma stavolta ci sta tutto: chi recriminasse sulla solita cattiva pubblicità alla Calabria metta un asterisco sulla geniale trovata dei Bradford che dentro lo schermo televisivo si trasformano in una surreale “Casa Barone”, focolare in cui i parenti dibattono amabilmente di vendette, torture e altri soavi progetti per il week-end.

E se l’ambientazione calabra è da Cosa Nostra spintissima, l’atmosfera generale è invece, dichiaratamente, quella vintage degli anni Ottanta, con tante memorabilia: dalla citata Big Babol, principale icona di tutta la serie, ai Sofficini, gli Smarties, e poi la Donna Bionica, Lassie, i poster di Charlie’s Angels, fino a una colonna sonora da sballo con Nada, Loredana Bertè e George Michael.

Dove si sbaglia sempre è nel dialetto. Che dovrebbe essere reggino, ma poi scappano espressioni dell’idioma cosentino (“matrema”, “fratema”) e addirittura quel partenopeo “nisciunu” che fa subito melodramma criminale alla Mario Merola. Consigliamo un consulente linguista dal territorio e training mirato degli attori.

Pop ma misteriosa e cupa, più Twin Peaks italica che sparatorie alla Di Leo con citazioni da Tarantino (l’inserto animato psichedelico con ventricoli e aorta pulsanti di dolore), “Bang Bang Baby” deluderà però chi si aspettava un action. La giovane Alice è imbronciata e sorride poco: affamata d’amore, diventa pronta a tutto per conquistare il padre. Adesso che lo ha ritrovato vuole portarlo sulla retta via per trascorrere con lui tante ore liete e normalissime, andando in pizzeria o guardando “Happy Days”. Nel frattempo è ancora seppellita da una grandinata di venefici Smarties – se riuscirà a redimere il principe Santo Maria lo scopriremo nel finale di serie, che arriverà il 19 maggio con le ultime puntate. Obiettivo essere amata, ad ogni costo.

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