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VIBO VALENTIA – «Deve andare dai carabinieri, da un magistrato e parlare. Deve dire ciò che sa, deve dire chi ha ucciso mio figlio. Se è un uomo, se non vuole essere complice di quest’omicidio, se gli è rimasto un briciolo di cuore». Sono le parole di un padre a cui il cuore l’hanno strappato quella sera del 25 ottobre, quando hanno ucciso Filippo, il suo ragazzo, il suo orgoglio. Martino Ceravolo non ha più lacrime, ma ha coraggio e dignità da vendere oltre la sua bancarella ordinata tra corso Vittorio Emanuele III e via Forgiari. Vuole il nome di chi ha ammazzato il suo Filippo. 

«Voglio che chi ha sparato risponda alla legge, che sia processato e condannato all’ergastolo», dice. Sa che la strada che conduce alla verità, anche giudiziaria, deve passare attraverso il muro dell’omertà. Rivolge così il suo pensiero a Domenico Tassone, il 27enne di Soriano che i carabinieri ritengono il reale bersaglio dei sicari appostati al Calvario di Pizzoni. «Forse questo signore pensa che ci vogliono le “palle” per fare il malandrino, io penso invece che servano più “palle” per essere uomini e raccontare la verità, o per fare la vita che faceva mio figlio, casa e lavoro per guadagnarsi il pane col sudore della fronte. Se questo signore è un uomo dica tutto quello che è successo. Continuare nel silenzio significa avere Filippo sulla coscienza»

Suo figlio era un ragazzo onesto, tranquillo, che non aveva niente a che fare con i loschi giri di una realtà di frontiera permeata dalla mafia. Era dalla fidanzata, a Vazzano, quella sera. Non aveva l’automobile per rientrare, rimasta in panne e ricoverata in un’officina. Per tornare a Soriano, Filippo aveva bisogno di un passaggio. Domenico Tassone, quella stessa sera, era a Vazzano con la Fiat Punto del fratello. Filippo e Domenico erano fidanzati con due cugine. «Stavo guardando la partita in televisione – racconta Martino – e alla fine del primo tempo sono stato avvisato da una telefonata, mi hanno detto che avevano sparato e che era stato colpito mio figlio. Ho preso la macchina e ho iniziato a correre, ero disperato». 

Un’ondata di indignazione. Filippo non doveva morire, è stato ucciso per errore. «Mafiosi? Questi non sono neppure mafiosi, questi sono animali, sono una nullità». Si è ribellata una comunità intera, Soriano. «Il mio paese ha dimostrato di non volere più morti – dice Martino – con quella manifestazione ha dimostrato che certa gente non la vuole». 

Martino Ceravolo spera di conoscere presto il procuratore di Vibo Mario Spagnuolo: «Spero che anche lui faccia il possibile per fare verità e giustizia». Ha apprezzato l’intervento del procuratore di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo. Ha riconosciuto che suo figlio era un bravo ragazzo, un innocente, ha assicurato che la Dda e i carabinieri daranno il massimo affinché la morte di Filippo non resti impunita. Li prenderanno, si spera. «Il sacrificio di Filippo deve servire a qualcosa, deve cambiare le coscienze. Nessun altro deve morire. Ho fiducia nei carabinieri e a loro chiedo di fare di tutto affinché chi ha ucciso mio figlio paghi con il carcere a vita».

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