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L'ex assessore regionale Nazzareno Salerno

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OTTENUTA, facendo ricorso “ad una estorsione”, la nomina di Vincenzo Caserta a capo del progetto del Credito Sociale bisognava individuare il soggetto cui affidare la gestione “economica” relativo del fondo da destinare alle famiglie e la vicenda che segue “risulta ancora più marcatamente voluta da Salerno anche in relazione all’episodio estorsivo cui darà vita pur di proseguire nel suo piano criminoso”.

Lo scrive il giudice per le indagini preliminari distrettuale Giuseppe Perri nella sua ordinanza che ha disposto il carcere per 9 persone accusate a vario titolo di aver distratto i fondi comunitari appropriandosene, per una cifra di quasi due milioni di euro (LEGGI LA NOTIZIA). L’inchiesta “Robin Hood” condotta da Carabinieri e Finanza e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha messo in evidenza una serie di elementi che provano come l’ex assessore regionale Nazzareno Salerno, in quota Forza Italia, volesse che il servizio in questione fosse affidato alla società Cooperfin invece che ad una società della Regione stessa, la Fincalabra per la precisione.

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Succede quindi che Salerno e Caserta, Pasqualino Ruberto, presidente di Calabria Etica, e Ortenzio Marano, socio e amministratore delegato della Cooperfin Spa, “intenzionalmente e in aperta violazione di legge – nonostante la palese difformità della natura del servizio affidato (strumento di ingegneria finanziaria), rispetto alle prerogative statutarie della Fondazione Calabria Etica, Ente in house della Regione Calabria – si siano accordati affinché da una parte Caserta, dopo il placet di Ruberto, adottasse la nota con la quale affidava a FCE la gestione del Fondo Credito Sociale – pure in presenza di Enti economici e finanziari della Regione Calabria, quale ad esempio Fincalabra, che ben avrebbero potuto, atteso il loro conforme oggetto sociale, provvedere alla medesima gestione del credito – attestando “falsamente che la Fondazione era “soggetto qualificato, maggiormente rispondente alla scopo”.

Una circostanza, questa, secondo gli inquirenti prima e il gip poi, non vera poiché “il servizio affidato era viceversa del tutto estraneo ai fini istituzionali di Calabria Etica, trattandosi di un’operazione di ingegneria finanziaria -una forma di micro-credito- per la cui gestione era invece necessario possedere quelle abilitazioni assolutamente estranee a tale Ente. Dall’altro lato, i quattro avrebbero turbato la gara pubblicata sul Burc del 6 ottobre 2014, indetta dalla stessa Fondazione, per conto della Regione, in relazione alla selezione di un partner, sia di service finanziario connesso alla gestione del fondo a favore di coloro che versano in una situazione di temporanea difficoltà economica di cui al progetto “Credito Sociale”, sia per il mantenimento dell’occupazione in Calabria sotto forma di finanziamento agevolato, “incidendo così sulla predisposizione del contenuto del bando medesimo e, in particolare, sulla formulazione delle clausole “excludendi alios”, palesemente tese a scoraggiare la partecipazione di altri candidati, diversi dalla società Cooperfin Spa”.

Ruberto avrebbe sottoscritto un avviso funzionale a quella selezione del tutto privo dei requisiti minimi per poter essere considerato un bando pubblico, non facendo alcun riferimento al valore del servizio da appaltare e individuando un termine di appena 7 giorni per la presentazione delle candidature, termine, “oltre che illegittimo anche inadeguato, in relazione alla richiesta di presentazione di un “progetto” che contenga proposte migliorative della gestione del servizio”. Caserta avrebbe poi omesso – pur avendo l’obbligo giuridico di intervenire – qualunque forma di controllo sulle modalità di selezione predisposte da Ruberto, mentre Marano ha concorso in questo in quanto “beneficiario della condotta illecita e negoziatore con Salerno, soggetto, a sua volta, ideatore ed istigatore della complessiva vicenda delittuosa, nonché in ultimo anche beneficiario del prezzo corruttivo che la Cooperfin Spa verserà in suo favore”.

E l’interesse della Cooperfin “non era certo la rimuneratività del servizio, ma la disponibilità delle ingenti somme di cui poi avrebbe, come avvenuto e come si dirà a breve, disposto in maniera assolutamente illecita”. In definitiva, per il giudice, la predisposizione del “bando” risulta “essere stato chiaramente il frutto di una collusione fra chi lo ha formulato (Ruberto), chi ne ha affidato indebitamente la predisposizione (Caserta), chi aveva interesse a che fosse la Cooperfin ad aggiudicarsi il servizio (Salerno) e chi ne ha beneficiato, non tanto aggiudicandosi il servizio, ma appropriandosi concretamente addirittura della maggior parte (come si vedrà a breve, ben l’80% circa) delle somme gestite (Marano).

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