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Un frame del video dell'aggressione

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«Ora non ce la faccio più, ho paura per la mia incolumità e per la mia famiglia, ho paura di vederlo per strada, sono sicuro che lui prima o poi mi farà fare una brutta fine. Sono con le spalle al muro, ho una barca di proprietà e temo che possa essermi bruciata. Vi prego di fare qualcosa per aiutarmi».

È la supplica a cuore aperto che la vittima del brutale pestaggio rivolge ai carabinieri nella sua querela contro Leoluca Corso. Pestaggio che ha rappresentato il culmine di un rapporto di prevaricazione messo in atto dall’arrestato nei confronti di A.D.L..

Bisogna infatti riavvolgere il nastro per capire quanto la paura nei confronti dell’indagato avesse pervaso quest’ultimo. È tutto questo emerge dall’ultima denuncia presentata il 7 maggio scorso dalla parte offesa ai carabinieri di Vibo secondo la quale, poco prima, in via Michele Bianchi, Corso aveva tamponato la vittima con la sua auto, e una volta sceso le aveva inveito contro con frasi del tipo: «Vieni indietro, bastardo che ti sistemo qui».

Gli investigatori guidati dal maresciallo Panei hanno capito subito che dietro quella frase ci fosse dell’altro, ben più radicato, tra i due. E infatti, A.D.L. alla fine aveva riferito sulla grave situazione di disagio provocata dai comportamenti «spesso violenti e vessatori posti in essere nei suoi confronti» dall’indagato, destinatario di altre denunce emesse in date ravvicinate: 13 e 19 marzo e, appunto quella del 7 maggio.

Ma la vicenda affonda le radici nel tempo, addirittura a dieci anni fa, quando Corso si sarebbe impossessato di un’imbarcazione della vittima con la promessa di «acquistarla ma, di fatto, usurpando non solo la disponibilità di tale natante, ma anche i guadagni derivanti dal suo utilizzo, poiché il pescato veniva ceduto ad una pescheria di Pizzo senza che al reale proprietario andasse alcun compenso». La parte offesa aveva provato ad imporsi per ottenere indietro il natante, scontrandosi con la controparte avrebbe risposto: «Con la barca o esco io o non esce nessuno. O esco io o la barca se ne va a fondo».

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Altro episodio, poi posto alla base dell’aggressione del 12 marzo, riguarda l’acquisto di un immobile, da destinare ad abitazione della zia della parte offesa, effettuato da quest’ultima attraverso l’agenzia immobiliare riconducibile all’indagato: dopo aver versato l’intero prezzo pattuito, pari a 40mila euro, la vittima scopriva che l’immobile acquistato era gravato da ipoteca e che, a fronte lecite rimostranze volte a chiedere che il venditore risolvesse l’inconveniente, le sarebbe stato chiesto di versare altri 16.800 euro necessari alla cancellazione della stessa.

A quel punto, avrebbe provato a far valere le proprie ragioni e recandosi presso l’abitazione di Corso, sarebbe stato aggredito da quest’ultimo che, aprendo la porta, avrebbe immediatamente inveito contro il suo interlocutore, insultandolo e minacciandolo, per poi passare all’aggressione fisica: «Rovinato a terra, si è ritrovato con il capo vicino ad una porta in alluminio, che l’indagato aveva iniziato ad aprire e chiudere, colpendo ripetutamente la controparte. Corso avrebbe poi afferrato un martello colpendo il malcapitato le spalle».

Drammatico, infine, l’episodio del 19 marzo, quello del pestaggio, con la furia di Corso che non è stata frenata neppure dal sopraggiungere di testimoni, un uomo e una donna né dinanzi all’intervento di terzi soggetti non identificati. Aggressione che era stata ripresa col cellulare da parte di una donna straniera che l’aveva consegnato alla polizia. Il giorno dopo, però, lei e il marito erano stati avvicinati da un uomo (non indagato), proprietario dell’abitazione in cui la coppia era in locazione che, improvvisamente, avrebbe intimato loro di lasciare l’appartamento, in quanto riteneva che Corso fosse venuto a conoscenza del video. E infatti, il marito aveva riferito ai carabinieri che la consorte era stata minacciata di non consegnare il video alla Polizia.

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