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Il municipio di Mileto

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MILETO (Vibo Valentia) – «Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, proposto rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della parte resistente, che liquida in complessivi 1.500 euro. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 23 gennaio 2013 e 15 aprile 2013, con l’intervento dei magistrati Calogero Piscitello, Presidente, Angelo Gabbricci, Consigliere e Rosa Perna, Consigliere Estensore».

Questo il dispositivo con cui il Tar Lazio rigetta il ricorso presentato dall’ex sindaco Vincenzo Varone e dalla maggioranza che l’ha sostenuto nel corso del suo breve mandato e certifica che il ministero, e di conseguenza la Prefettura di Vibo Valentia, ha operato nel giusto nello sciogliere per presunte infiltrazioni mafiose il civico consesso miletese lo scorso 6 aprile 2012. Ovviamente resta nelle possibilità del sindaco e dei suoi fedelissimi ricorrere al Consiglio di Stato contro questa decisione, cosa che come vedremo è già stata annunciata, ma il dato che emerge dalla decisione del Tar smorza ogni entusiasmo che negli ultimi tempi era circolato tra gli ambienti dell’ex maggioranza e scioglie i dubbi legati alla relazione redatta dalla prefettura di Vibo Valentia e in particolare dall’allora prefetto Luisa Latella. 

Per largo tempo l’ex maggioranza Varone aveva confidato nell’accoglimento del ricorso sia sulla base dell’andamento delle udienze sia e soprattutto per via della recente sentenza sullo scioglimento del Comune di Bordighera che ha parzialmente modificato l’orientamento dei giudici amministrativi in tema. Ma l’analisi del Tar Lazio, sviluppata in una ventina di pagine di sentenza, non dà spazio e piomba come un macigno a convalidare l’idea che l’ultimo consiglio comunale miletese non fosse scevro da possibili ingerenze dirette o indirette, concrete o potenziali, della criminalità organizzata.

In particolare, il collegio di giudici amministrativi ha ritenuto «che gli elementi raccolti ed i riscontri effettuati sono idonei a suffragare la proposta (di scioglimento), tenuto altresì conto – si legge nella sentenza -del differente grado di sufficienza del valore indiziario dei dati nel procedimento di cui qui si tratta rispetto a quello richiesto in sede penale. Sotto questo profilo, appaiono idonee anche quelle situazioni che non rivelino, né lascino presumere l’intenzione degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata, giacché, in tal caso, sussisterebbero i presupposti per l’avvio dell’azione penale o, almeno, per l’applicazione delle misure di prevenzione a carico degli amministratori, mentre la scelta del legislatore è stata nel senso di non subordinare lo scioglimento del consiglio comunale né a tali circostanze, né al compimento di specifiche illegittimità, non essendo necessario che la volontà dei singoli amministratori sia coartata con la violenza, giacché il condizionamento, idoneo a determinare lo scioglimento dell’organo consiliare, può essere anche frutto di spontanea adesione culturale o di timore o di esigenza di quieto vivere, risultando, in tutti tali casi, l’attività amministrativa deviata dai suoi canoni costitutivi per essere rivolta a soddisfare interessi propri della criminalità organizzata».

Insomma, il Tar conferma quello che è l’orientamento dominante in materia e ribadisce anche nel caso di Mileto come non sia necessario il concretizzarsi di reati affinché vi sia un condizionamento o supposto tale della criminalità organizzata, anzi, per dirla tutta vi è «la volontà del legislatore di consentire un’indagine sulla ricostruzione della sussistenza di un rapporto tra gli amministratori e la criminalità organizzata sulla scorta di circostanze che presentino un grado di significatività e di concludenza di livello inferiore rispetto a quelle che legittimano l’azione penale o l’adozione di misure di sicurezza nei confronti degli indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso o analoghe. Ciò in quanto l’intento del legislatore è quello di riferirsi anche a situazioni estranee all’area propria dell’intervento penalistico o preventivo, nell’evidente consapevolezza della scarsa percepibilità, in tempi brevi, delle varie concrete forme di connessione o di contiguità, e dunque di condizionamento, fra organizzazioni criminali e sfera pubblica, e della necessità di evitare con immediatezza che l’amministrazione dell’ente locale rimanga permeabile all’influenza della criminalità organizzata». Quindi «ne consegue l’idoneità a costituire presupposto per lo scioglimento dell’organo comunale anche di situazioni che, di per sé, non rivelino direttamente, né lascino presumere, l’intenzione degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata». 

Per sciogliere un consiglio comunale non serve che vengano compiuti reati né che gli amministratori pongano in essere comportamenti agevolanti la criminalità organizzata, è sufficiente che vi sia il sospetto di un possibile, anche in termini astratti, condizionamento passato, presente o futuro dell’amministrazione. Detto questo però i giudici romani si spingono e chiariscono che alla luce dell’esame della relazione della Prefettura di Vibo Valentia «si ricava che l’influenza della criminalità organizzata sugli organi elettivi del Comune è stata rappresentata, sia pure sinteticamente e con numerosi omissis e per relationem negli allegati al decreto presidenziale di scioglimento, nei quali è stata indicata una serie di vicende che dimostrano in modo oggettivo l’esistenza di un condizionamento di tipo ambientale derivante dalla diffusa ed accertata presenza di pericolose cosche mafiose in grado di compromettere la libera determinazione degli organi elettivi, con grave pregiudizio alla capacità di gestione e di funzionamento dell’ente comunale, determinando di conseguenza una condizione di assoggettamento alle scelte delle locali organizzazioni criminali; mentre le reali vicende sintomatiche dell’infiltrazione e del condizionamento mafioso nel Comune di Mileto sono state integralmente descritte nelle risultanze della Commissione di accesso». 
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