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Patrizia Pasquin

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CONDANNATA sì, ma a una pena di appena due anni e otto mesi, a fronte di una sentenza di primo grado che nel 2011 le infliggeva 14 anni e sei mesi. Si smonta quindi in Appello buona parte dell’accusa per l’ex presidente della sezione civile del tribunale di Vibo Valentia, Patrizia Pasquin per la quale resta in piedi solo l’accusa di corruzione in atti giudiziari.

Già al termine della requisitoria, il procuratore generale di Salerno, aveva chiesto di ridurre di sei anni la pena di primo grado. Ma il collegio giudicante è andato oltre. Insieme a Patrizia Pasquin, a suo tempo sospesa dalle funzioni e dallo stipendio, avevano presentato appello altri 7 imputati. E sono stati tutti assolti.

Le accuse che erano contestate a vario titolo riguardano l’associazione a delinquere, corruzione in atti giudiziari, falso, turbativa d’asta, frode processuale, truffa. Le persone coinvolte ed ora assolte sono Settimia Castagna (condannata in primo grado a 9 anni e 4 mesi e per la quale in appello erano stati chiesti 7 anni e 2 mesi; Alberto Sganga (3 anni in primo grado); Giulio Sganga (3 anni e 4 mesi in primo grado); Francesca Tulino (3 anni in primo grado); Guglielmo Grillo (2 anni e 8 mesi in primo grado ma ora era stata chiesta l’assoluzione); Michelangelo Aiello e Vincenzo Galizia (2 anni ciascuno in primo grado). 

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L’INCHIESTA SU CORRUZIONE E MAFIA – Patrizia Pasquin era rimasta coinvolta nell’operazione antimafia «Dinasty 2 – Do ut Des» condotta dalla Dda di Salerno e scattata nel novembre 2006 a conclusione delle indagini condotte dalla squadra mobile di Vibo Valentia. In primo grado  la Pasquin è stata riconosciuta colpevole dei reati di corruzione in atti giudiziari e di altri ventitrè capi di imputazione, unificati sotto il vincolo della continuazione. Assolta per il reato più grave di concorso esterno in associazione mafiosa e considerate inoltre decadute le aggravanti mafiose ai reati contestati. Con la Pasquin sul banco degli imputati vi erano altre undici persone, delle quali sette condannate a pene dai due ai nove anni e mesi. 

La sentenza dei giudici salernitani aveva di fatto confermato  l’impianto accusatorio scaturito dall’inchiesta condotta dalla Dda di Salerno. L’accusa è stata centrata attorno all’affare del Melograno Village, una struttura da realizzare a Parghelia, per la quale si formò una società con le quote societarie maggiori in mano al figlio della Pasquin, Alessandro Tassone e a Settimia Castagna, socia in affari dell’ex giudice vibonese che approfittando delle sue funzioni avrebbe operato secondo l’accusa con metodi illegali (si parlò di sistema corruttivo) per ottenere un grosso finanziamento a fondo perduto in conto capitale di quasi cinque milioni di euro. Ora invece, il ciclone giudiziario si sgonfia.

IL FILONE CHE RIGUARDA IL BOSS – Un secondo filone processuale ha seguito il rito abbreviato e dopo le condanne in primo grado sta ora vivendo anch’esso la fase d’Appello. Coinvolti il boss della ‘ndrangheta Antonio Mancuso di Limbadi, condannato in primo grado a 7 anni, più 6 avvocati del Foro vibonese che in primo grado erano stati invece assolti. In questo caso, però, il dibattimento è ancora in corso e la prossima udienza sarà a dicembre.

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