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Francesco Prestia Lamberti

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MILETO – A distanza di poco più di tre mesi è stata depositata la sentenza completa delle motivazioni riguardo la condanna a 14 anni di reclusione (LEGGI LA NOTIZIA DELLA CONDANNA) nei confronti del 15enne Alex Pititto dichiarato colpevole dell’omicidio del coetaneo Francesco Prestia Lamberti avvenuto a Mileto il 29 maggio 2017.

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Nella sentenza dei giudici del tribunale dei minori si riconosce la colpevolezza di Pititto in relazione ai vari reati contestati (oltre all’omicidio ci sono anche i reati legati al possesso e porto d’armi) che secondo i giudici sono «consumati in esecuzione di una medesima preordinazione criminosa», il cui movente sarebbe da individuarsi nella «gelosia e anzi dal vero e proprio senso del possesso che Pititto nutriva nei confronti della Tomeo, tanto da non tollerare che altri si sentissero o provassero interesse per lei, nonostante loro due non fossero più fidanzati».

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DI FRANCESCO PRESTIA LAMBERTI

Inoltre, i giudici hanno riconosciuto diversi elementi di «contraddittorietà e di palese reticenza in ordine ad elementi di non trascurabile rilevanza quali il movente o tutta la fase immediatamente successiva al delitto, tanto da non consentire il rinvenimento dell’arma» nella confessione di Pititto.

LA RICOSTRUZIONE DELL’OMICIDIO

Secondo la sentenza ecco cosa accadde il 29 maggio: «Nel pomeriggio del 29.5.2017, Alex Pititto invia un messaggio WhatsApp al Mazzitelli – recita la sentenza – al quale aveva dato incarico nei giorni immediatamente precedenti di verificare se la Tomeo e Francesco Prestia Lamberti si sentissero, scrivendogli che era già passato molto tempo e che doveva dargli la risposta rispetto a quello che gli aveva chiesto di verificare. Mazzitelli risponde che Francesco e Noemi non si scambiavano messaggi, ma Pititto, dopo aver ribadito che non sapeva più a chi credere, se a lui o agli altri e che “avrebbe fatto di testa sua e che se fosse scappato un morto era uno in meno”, non risponderà più all’amico che tenta nuovamente di contattarlo per proporgli un incontro chiarificatore anche con Noemi e Francesco».

«Sempre nel pomeriggio il Pititto ha una telefonata della durata di circa mezzora con la Tomeo, con la quale si era lasciato da tre giorni e verso cui provava, secondo quanto riferito da tutti concordemente, una morbosa gelosia. Pititto, poi, si reca in piazza Badia a Mileto dove incontra Domenico Evolo, il quale era a bordo della propria auto Fiat Punto, chiedendogli, insieme a Collia Alessandro e ad Arena Francesco Pio, di accompagnarlo a casa. Evolo – che il Mazzitelli riferisce essere sostanzialmente l’autista del Pititto, in quanto era in possesso della patente di guida ed aveva in uso la macchina del padre, in cambio della cessione gratuita di qualche “spinello” – riaccompagna a casa Collia e Arena, mentre Pititto, invece di tornare a casa a propria volta, gli chiede di portarlo alla scuola elementare di Mileto e di fermarsi dietro alla villa comunale, chiamando con il proprio telefono cellulare Prestia Lamberti intorno alle ore 20.10».

L’ARRIVO DI PRESTIA LAMBERTI

A questo punto «Francesco Prestia Lamberti – prosegue la sentenza – li raggiunge dopo appena cinque minuti, salendo in macchina e Pititto chiede a Evolo di accompagnarli in località Vindacito perché dovevano vedere una cosa “di una terra”; giunti sul posto intorno alle ore 20.20, i due scendono dall’autovettura, mentre Evolo rimane in attesa in una stradina sterrata, dopo che Alex gli aveva detto di fare inversione con la macchina e di rimanere lì, perché avrebbero impiegato poco tempo. Pititto, una volta da solo con l’amico, esploderà ben presto – dopo circa cinque minuti riferisce l ‘Evolo – al suo indirizzo almeno due colpi di arma da fuoco, senza che vi sia stata alcuna colluttazione».

Una volta esplosi i colpi, secondo la ricostruzione dei giudici, «Pititto corre verso l’auto, che nel frattempo Evolo, impaurito, aveva messo in moto per allontanarsi, entrandovi con la pistola ancora in mano ed urlando al guidatore di andare via. All’Evolo che gli domanda dove sia Prestia Lamberti, l’imputato risponde dicendogli, in dialetto, che lo aveva ammazzato (“u cutulai”) e che Francesco “aveva fatto quello che non doveva fare”. Pititto chiede, quindi, a Evolo di riportarlo a Mileto, facendosi, tuttavia, lasciare nei pressi della vecchia fornace, su via Coltura e minacciando, puntandogli la pistola al fianco sinistro, di non riferire ad alcuno di quanto accaduto, altrimenti lo avrebbe ammazzato. A quel punto, l’imputato percorre a piedi un tratto di via Coltura, dirigendosi proprio verso la vecchia fornace, facendovi ingresso e rimanendovi per circa dieci minuti».

PITITTO SI COSTITUISCE

Trascorso questo breve periodo «l’imputato raggiunge, infine, il centro di Mileto notando, nel percorrere a piedi il Corso Umberto I, Manuli Simone a bordo della propria autovettura e facendogli cenno di fermarsi. Salendo sull’auto, Pititto chiede al Manuli di fare un giro, rimanendo in silenzio e dicendo, poi, che aveva fatto ”una cazzata, una grossa cazzata” e che Prestia non c’era più, perché gli aveva sparato intorno alle ore 20.30 ed era morto. Manuli, a quel punto, lo convincerà a non scappare ed a costituirsi in caserma, accompagnandolo, intorno alle ore 22.15, sul piazzale attiguo all’Istituto Zooprofilattico di Mileto».

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