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Diego Mancuso

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VIBO VALENTIA – Gli investigatori lo considerano al vertice dell’omonima famiglia mafiosa, uno dei capi che ha guidato il clan a cavallo tra i due millenni. Ma adesso pare aver chiuso i conti col passato. Almeno secondo quanto scrive la Corte d’Appello.

Diego Mancuso, 66enne vissuto nell’alveo criminale della famiglia di Limbadi, svolge infatti l’attività di giardiniere e lavapiatti presso un agriturismo nel territorio di Ricadi «mostrando un totale cambiamento del proprio stile di vita e di aver rescisso i legami col gruppo familiare mafioso di origine, per come dimostrato, tra l’altro, dal suo mancato coinvolgimento nel processo “Black Money”». È quanto scrive la Corte d’Appello di Catanzaro nel provvedimento di revoca della misura della sorveglianza speciale nei confronti del 66enne in accoglimento della richiesta presentata dall’avvocato Francesco Schimio.

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A fondamento della propria tesi, i magistrati hanno rilevato che la dedizione ad attività lavorativa di Mancuso  avvalora «il giudizio su un’assenza attuale di elementi di pericolosità a carico del ricorrente. Va poi valutato in senso favorevole il periodo di detenzione sofferto, con godimento di periodi di liberazione anticipata, a dimostrazione dell’esito “risocializzante” della subita detenzione, l’assenza di condanne o dì condotte di reato negli ultimi anni».

In buona sostanza, per la Corte, «mancano elementi attuali indicativi dell’esercizio di una forza evocativa e dì un potere di assoggettamento, derivante da un dominio territoriale incontrastato, da parte dell’odierno ricorrente in qualità di esponente della cosca Mancuso, non vi sono indici rivelatori di attuali compiti direzionali, di un ruolo di vertice e di reinserimento nell’ambiente di provenienza, con reiterazione delle condotte, come si desume dalla protratta detenzione e dallo svolgimento di attività lavorativa, ma soprattutto dal mancato coinvolgimento nel procedimento che ha avuto riguardo alla condotta del gruppo criminale in epoca successiva al 2003».

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