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Andrea Mantella

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TORINO – «A Carmagnola come in Calabria: si facevano le stesse cose». Lo ha detto l’ex boss di Vibo Valentia oggi collaboratore di giustizia Andrea Mantella (tra l’altro tra i collaboratori di punta nel maxi processo Rinascita-Scott) testimoniando a Torino al processo di ‘ndrangheta legato all’operazione Fenice-Carminius.

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Secondo quanto ricostruito da Mantella, a Carmagnola in provincia di Torino «la famiglia Arone e il clan Bonavota sono la stessa cosa: stessa fazione, stessa potenza. E guarda caso in questo paese ci sono tradizioni della Calabria. Compresa l’Affruntata, che è una manifestazione religiosa tipicamente calabrese. I Bonavota sono a Carmagnola e si fa, i Bonavota sono a Toronto e si fa. Guarda caso».

Inoltre, sempre secondo il collaboratore, a Carmagnola il «capo» è Salvatore Arone, che «rappresenta i Bonavota» e che negli ambienti «è rispettato come un santo o un padre Pio».

Rispetto alla guerra di mafia tra le cosche del vibonese, poi, Mantella ha ribadito che «la guerra è finita con la vittoria dei Bonavota. Hanno vinto sul campo. Non c’è trippa per gatti».

Mantella ha raccontato di essere «nato» nel clan Lo Bianco «da ragazzino», e poi di avere formato un proprio «gruppo militare autonomo» che si alleò con altre cosche, tra cui i Bonavota, in opposizione ai Mancuso. Nella guerra che ne seguì «i Lo Bianco furono quasi cancellati, i Mancuso furono messi in difficoltà».

Il collaboratore, che si è attribuito «tanti omicidi», ha parlato di una ‘black list’ di persone da uccidere. In due casi, però, non si fece nulla. Il primo fu quello di Rosario Petrolo, «che era all’ergastolo per la cosiddetta Strage dell’Epifania del 1991, diretta contro i Bonavota, dove morirono persone innocenti. Sapendo che forse gli stavano per dare un permesso premio, vennero da me e mi dissero “compare Andrea, due polli in un pollaio non ci possono stare: se esce devi ucciderlo”».

Il secondo riguardava un boss «ma intervenne la ‘ndrangheta madre e, dopo la loro mediazione, non intervenimmo».

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