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L'aula bunker di Lamezia Terme in cui si celebra il maxi-processo Rinascita-Scott

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LAMEZIA TERME – È ruotato attorno alla figura dell’avvocato Francesco Stilo, imputato al maxiprocesso, l’esame odierno di Andrea Mantella, rispondendo alle domande del pm della Dda, Annamaria Frustaci. Un personaggio del quale il pentito ha riferito essere funzionale a parecchi soggetti legati alla criminalità organizzata vibonese, narrando plurimi aneddoti e riferendo come il professionista si sarebbe messo a disposizione.

La figura dell’avvocato Stilo. Il penalista era «funzionale a parecchi mafiosi», esordisce Mantella rispondendo alla domanda secca del pm Frustaci. «Era sempre in giro con Peppe Mancuso, figlio di Pantaleone alias “Vetrinetta”, ed aveva una sala giochi», aggiunge, entrando poi nello specifico. Sì, perché a dire dell’ex boss, l’avvocato Stilo «portava i telefonini nel carcere di Cosenza a Leone Soriano che teneva nel piede della branda, oltre ai bigliettini».

Una figura quella di Stilo, che a parere del pentito «si metteva anche a disposizione di Peppone Accorinti con le stesse modalità» e che «si recava da noi a prendersi le auto a noleggio ma senza pagarle; quando abbiamo saputo che con le stesse portava in giro altri personaggi legati alla criminalità, tra cui i Mancuso, dissi a Morelli di non dargliele».

Non solo i Mancuso e i Lo Bianco, ma anche Razionale sarebbe stato in contatto con Stilo: «Mi è stato riferito che l’avvocato Stilo aveva rapporti con Saverio Razionale del quale aveva una grande ammirazione, interessandosi alle sue vicende», ha riferito Mantella, precisando, tuttavia, di non sapere «se abbia mai avuto una nomina da parte sua».

Il progetto omicidiario ai danni di Grasso. I fatti sarebbero accaduti a cavallo tra il 2011 e i primi mesi del 2012 (prima dell’omicidio di Francesco Scrugli), sempre nel carcere di Cosenza. Leone Soriano avrebbe chiesto una cortesia a Mantella da fare su Vibo, vale a dire «uccidere una persona che aveva testimoniato contro di lui, che si accompagnava ad un’altra persona, e che spesso si recava all’ospedale per sottoporsi a dialisi».

E quella persona da abbattere sarebbe stata l’imprenditore Pino Grasso, di San Costantino Calabro che aveva effettivamente denunciato il capo della ’ndrina di Pizzinni. Il piano, secondo Mantella, era fattibile anche se c’erano delle difficoltà oggettive che l’ex boss fece rilevare al suo interlocutore: «Io risposi che l’omicidio si sarebbe anche potuto fare perché la difficoltà consisteva nel far uscire l’imbasciata da indirizzare a Francesco Scrugli ma lui mi rispose che c’era l’avvocato Stilo a disposizione. Leone voleva assassinare l’imprenditore Grasso di San Costantino Calabro per averlo accusato di aver subito delle estorsioni. Aveva anche fatto profanare la tomba dei suoi genitori».

Leone che «aveva delle informazioni dettagliate sull’obiettivo, sapendo che questi era sottoposto a dialisi dove si recava due volte a settimana. Io dovevo fare uscire questa imbasciata per fare in modo che Scrugli si attivasse per uccidere questo personaggio, ma avevo timore di essere scoperto perché era una questione molto delicata. Se mi avessero trovato il messaggio mi sarei rovinato. Tuttavia, l’imbasciata, per come riferitomi dallo stesso Leone, era riuscito a mandarla fuori attraverso l’avvocato. Ma poi Scrugli venne ucciso e questo delitto non andò in porto altrimenti questo Grasso sarebbe stato ammazzato».

I bigliettini. I sistemi erano i più svariati, alcuni anche ingegnosi. Erano quelli che consentivano ai carcerati di comunicare all’esterno. Quindi non solo telefonini cellulare ma anche bigliettini, i cosiddetti “pizzini”: «Si nascondevano nelle carte delle caramelle che magari ci portavano gli avvocati, oppure nelle parti intime, o ancora si faceva ricorso a frasi criptate scritte su un’agenda da far vedere al detenuto per poi essere cancellate evitando, in tal modo, di essere scoperti. Ma anche i medicinali erano utili per celare i “pizzini”».

I rapporti dell’avvocato con esponenti della criminalità. «L’avvocato Stilo si frequentava con quelli mio gruppo in particolare con Salvatore Morelli e Francesco Antonio Pardea, ma con me non ha mai avuto rapporti stretti. Aveva messo in piedi un’attività con il figlio di Carmelo Barba, alias “Carmelo Pinna”, e si diceva che stesse aprendone altre a Nicotera; faceva inoltre il prestanome di Pantaleone Mancuso alias Vetrinetta”».

Il rapporto coi Fiumara (Non indagati in “Rinascita”). Quando, nel 2004-2005, Claudio Fiumara andò in carcere, Paolino Lo Bianco si attivò per farlo uscire, appoggiandosi all’avvocato Stilo. Sarebbe stata questa, secondo Andrea Mantella, la catena di eventi e personaggi coinvolti nella vicenda: «Lo Bianco, per fare le solite documentazioni false finalizzate a tirare fuori da carcere Fiumare, aveva messo in mezzo l’avvocato Stilo col quale si interfacciava. Claudio – aggiunge il teste – era il capo ’ndrangheta nella vicina Acconia di Curinga, fratello di Raffaele, a sua volta coinvolto nell’operazione “Pizza Connection”, e al quale Peppone Accorinti fece il favore di ammazzare Domenico Manco. I Fiumara sono coloro i quali hanno ucciso un tale, Francesco Aloi, fidanzato della sorella, del quale trovarono solo una scarpa, dopo aver gettato in mare il corpo; ed operavano nel settore del traffico di sostanze stupefacenti».

Paolino Lo Bianco, il “manager” della sanità. Figura centrale dei rapporti tra il clan e branche della sanità vibonese sarebbe stato Paolino Lo Bianco, figlio del defunto boss Carmelo, alias “Piccinni”. Tratteggiando la sua figura, “A Guscia” (l’alias di Mantella) aveva “rapporti con anche con alcune strutture sanitarie private della città capoluogo, non solo con l’ospedale. Aveva l’abilità di inserirsi all’interno degli uffici, sapeva plagiare i dottori e portarli a compiere ciò che chiedeva. Chi si metteva a disposizione offriva aiuto in quello che era, di fatto, uno scambio di favori».

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