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Maria

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SORIANO –  Anni di botte, vessazioni, soprusi e un amore materno capace di indicibile sopportazione, finché non si ha davanti Lo spettro della morte. È questo il calvario di Maria, una donna di 64 anni, vedova, madre e vittima di un uomo che ama più della sua stessa vita, suo figlio, ma dal quale ha trovato il «coraggio di fuggire», come la stessa racconta, dopo l’ennesimo episodio di violenza.

È il 6 febbraio scorso, quando «per la milionesima volta – specifica Maria, nella denuncia-querela sporta presso la Stazione dei Carabinieri di Soriano contro il sangue del suo sangue – mio figlio Davide si è improvvisamente scagliato contro la mia persona, colpendomi ripetutamente con violenti calci e pugni, tanto da farmi scappare via da casa».

Davide è un 33enne «affetto da evidenti problematiche psichiatriche – evidenzia la donna – nello specifico, ha una grave forma di Psicosi di innesto» in cura presso il reparto Psichiatrico dell’ex ospedale di Soriano, ma «ultimamente si manifesta molto più violento del solito – sottolinea la madre – tanto da addurmi a chiedere ripetutamente aiuto, con scarsi risultati». 

Ma è l’ultimo episodio, che va ad aggiungersi ai tanti subiti, a dare il coraggio a Maria di sfuggire al suo “figlio-aguzzino”, chiedendo un tempestivo intervento delle autorità competenti «allo scopo – dichiara la donna – di far stare bene Davide e soprattutto la sottoscritta, che quotidianamente è in pericolo di vita. Chiedo formalmente la sua “punizione” – prosegue con pianto straziante, misto al filo di voce interrotto dai dolori delle percosse subite – per tutti i reati ravvisabili, nonché lesioni personali e maltrattamenti verso la mia persona». 

È una madre distrutta, Maria, doppiamente vittima, in quanto tutore del figlio «ha bisogno di essere preso in cura da qualche struttura idonea fino ad allora non farò rientro a casa».

Secondo il racconto della donna, a nulla sarebbero valse le richieste di aiuto, che negli anni avrebbe rivolto ad assistenti sociali e psichiatri, salvo intravedere un barlume di speranza appena un mese fa, quando, stremata, si è rivolta a un avvocato per ricorrere all’Autorità giudiziaria, affinché si occupasse del caso. Ma la violenza incontrollabile del giovane, ha purtroppo avuto la meglio sui tempi burocratici e di attesa, prospettati per il caso, e così, Maria, è finita in Pronto soccorso a Serra San Bruno, dove è stata sottoposta a una serie di esami diagnostici strumentali, per le varie contusioni presentate sul corpo. Un corpo esile, quello della donna, segnato dalle tracce di una vita difficile e di un dolore soffocato, represso, acuito fino a sfociare nella disperazione dell’abbandono, della fuga, della ricerca di pace.

Una deformità articolare alla caviglia, è uno dei primi segni che si può scorgere guardando la donna. È zoppa, Maria, a seguito di un incidente stradale accaduto tempo fa, che le è costato una multipla frattura alla caviglia. Incidente, racconta la donna, avvenuto proprio durante «un atto di violenta di ira, esercitato da Davide nei miei confronti», in una situazione apparentemente tranquilla: «Era seduto dal lato passeggero – lo portavo a fare un giro in macchina, spiega – all’improvviso si è scagliato contro di me e siamo finiti contro un muro. Non è stata l’unica volta», conclude, piangendo.

Qualche giorno fa, l’ultimo episodio di maltrattamenti e l’allontanamento da casa. È grazie ai suoi vicini, che la donna è riuscita a mettersi in salvo «hanno udito le mie urla – racconta – e uno di loro ha tentato di battere dei colpi alla finestra per attirare l’attenzione di Davide, che in quel momento mi dava pugni in testa. Quell’attimo di distrazione mi ha salvato la vita, perché sono riuscita a correre verso la porta e scappare».

Si sente invisibile questa madre, evidentemente lacerata da un dramma inenarrabile che la lega a doppio filo a quel figlio dal quale è costretta a scappare, ma per cui implora dignitosa attenzione e cura «da anni chiedo che Davide sia trasferito in una struttura idonea al suo stato mentale, ma puntualmente non avviene – asserisce la donna – siamo persone umili, restiamo inascoltate. A nessuno sembra importare delle nostre vite». 

Tanta è la paura di Maria, che la costringe a passare due notti in macchina, dopo esser fuggita dall’orrore delle mura domestiche: «Ho dormito in macchina, in un parcheggio del centro abitato – racconta – per non creare problemi a chi voleva ospitarmi, ma il freddo e i dolori alle vertebre non erano sopportabili, così, dopo la seconda notte trascorsa in macchina, mi sono recata presso un Bed & breakfast, per altri due giorni. Purtroppo non ho possibilità economiche per rimanervi oltre – prosegue la donna, che vive di una piccola pensione – e non so più dove portare la mia disperazione». 

Vittima di una sofferenza patita dal figlio ed esacerbata «da un inadeguato trattamento socio-sanitario nei confronti di Davide» la donna si rivolge alla nostra testata giornalistica, anche per lanciare un appello: «Mio figlio ha bisogno di essere curato in una struttura idonea e io di essere ascoltata e protetta. Non posso più soccombere al dolore. Ho bisogno di aiuto».

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