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VIBO VALENTIA – Consegnati di fatto al silenzio. D’altronde, il caso è particolarmente delicato e serviranno ulteriori accertamenti per stabilire l’esatta causa del decesso di Domenico, il bambino deceduto in grembo poco prima di venire alla luce (LEGGI).

Gli specialisti che hanno condotto ed assistito all’esame autoptico – effettuato ieri mattina presso la camera mortuaria dell’ospedale di Vibo e durato due ore e mezza, dalle 10 alle 12,30 – non hanno infatti rilasciato alcuna dichiarazione in merito, anche se pare che – ma la circostanza è ancora tutta da approfondire – il piccolo sia morto a causa della presenza di una trombosi del cordone ombelicale.

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Ad ogni modo, ieri è stata svolta soltanto una prima parte dell’attività da parte dei consulenti della Procura, l’anatomopatologa Katiuscia Bisogni, lo specialista in anatomia patologica Santo Lio, il ginecologo Morelli, e quelli nominati dalla famiglia del bimbo deceduto, Alfonso Luciano e da Antonella D’Alessandro, la ginecologa indagata (LEGGI DELL’AVVISO DI GARANZIA), Rocco Pistininzi.

Si è quindi proceduto al prelievo di tessuti e di organi sui quali sarà necessario svolgere approfonditi accertamenti in laboratorio, mentre la valutazione complessiva sarà effettuata dai tre periti del pm Concettina Iannazzo unitamente a quelli di parte e solo dopo aver acquisito tutta la documentazione medica finalizzata anche a stabilire se tutta la procedura prevista dalle linee guida è stata espletata in modo correttamente nel caso in questione.

La madre del bambino era stata visitata una prima volta il 26 settembre scorso e le condizioni del feto erano risultate normali. Al termine le era stato riferito che a giorni sarebbe stata chiamata per sottoporsi al taglio cesareo, ma dopo circa due settimane quella chiamata non era ancora arrivata. Il 9 ottobre scorso, la 32enne si era recata nuovamente presso l’ospedale di Vibo per chiedere spiegazioni del perché l’attesa per il parto si protraesse visto che era giunta alla 39esima settimana di gravidanza.

E qui si scontrano due versioni: quella del primario di Ginecologia Caterina Ermio secondo la quale quello stesso giorno non venne eseguito alcun tracciato sulla donna, e quella della famiglia, diametralmente opposta. Una discrasia sulla quale gli investigatori della Mobile, guidati dal dirigente Giorgio Grasso, stanno cercando di far luce.

Ma i punti dell’inchiesta coordinata dal pm Iannazzo verteranno anche sulla circostanza dell’attesa prolungata del cesareo e se la gestione del caso sia avvenuta nel pieno rispetto delle linee guida e, infine, se il reparto sia idoneo o meno per gli standard operativi.

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