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Il vescovo di Mileto Luigi Renzo

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MILETO – Non ha fatto passare neppure 48 ore il vescovo della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, Luigi Renzo, dal momento della richiesta (supplicatio) di revocare il decreto di soppressione della Fondazione Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime (LEGGI) avanzata dai soci della stessa a quando l’ha ufficialmente rigettata.

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Il presule miletese, infatti, con una nota di 5 pagine ha precisato che la supplicatio non può essere accolta, e quindi il decreto (LEGGI) al momento non può essere revocato, perché «mancano i presupposti per intraprendere ogni ulteriore percorso di dialogo», inoltre, il vescovo ha aggiunto una riflessione legata alle parole che la stessa Natuzza, un anno prima di morire aveva dettato: «Stai alle direttive di chi è capo. Impara ad obbedire. Ciò ti porterà a Dio. Il tuo superiore che ti dice di fare questo o quello, potrebbe anche sbagliare. Ma tu fa ciò che ti viene detto e non sbagli di certo. È ubbidienza». Per il vescovo «il consiglio vale per tutti, vale per voi e vale per me per fare le cose per bene».

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DI MARIA RIFUGIO DELLE ANIME

Ma se questa è la chiusura della comunicazione, il vescovo nella parte motiva del provvedimento non ha lesinato puntualizzazioni nei confronti della Fondazione e dei soci. In primo luogo, precisando che nessuno ha mai messo in dubbio i meriti della Fondazione, il vescovo ha contestato una ricostruzione «spesso di parte e non sempre oggettivamente completa» per poi mettere in luce come nell’assemblea del 22 luglio 2017, da cui scaturirà la bocciatura del nuovo statuto approvato in CdA che porterà al primo decreto del vescovo di revoca del riconoscimento dello statuto stesso, l’allora presidente don Pasquale Barone «ha vietato ai due sacerdoti delegati di portare il saluto del vescovo con la motivazione che la Fondazione era “ente privato”, per cui il vescovo non aveva diritto di parola».

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Completata poi la ricostruzione storica degli eventi degli ultimi due anni, il vescovo ha spiegato anche il motivo per cui ha rinunciato al suo posto di diritto nel Cda della Fondazione «ho fatto rilevare l’assurdità che il vescovo fosse membro di diritto in un consiglio il cui presidente a vita è un sacerdote a lui canonicamente sottoposto. Alla proposta che avrei designato un delegato mi è stato risposto che “era volontà di Natuzza”. Ho lasciato perdere per non apparire un bastian contrario».

Ma il nodo principale della risposta del vescovo sta, forse, nel passaggio in cui spiega che in realtà, segretamente, lo Statuto era già stato cambiato nella sostanza. «Nell’art. 11 è detto che “Il presidente della eletto dal Cda, dura in carica 5 anni e può essere rieletto. Il primo presidente della Fondazione, per volontà espressa della Fondatrice Spirituale, Natuzza Evolo, è il sacerdote Pasquale Barone”. Mia domanda – ha proseguito il vescovo – se presidente per la prima volta (solo la prima volta) deve essere lui, don Barone, come mai poi la sua nomina si è trasformata in presidente a vita?». Un interrogativo cui lo stesso vescovo dà una risposta «segretamente – ha scritto Renzo – fuori statuto avevano fatto sottoscrivere a Natuzza una dichiarazione secondo cui doveva essere sempre presidente. Ma questo non risulta nello Statuto approvato da mons. Cortese. Di fatto e all’occorrenza, quindi, lo Statuto è segretamente cambiato malgrado ancora oggi si continua a sbandierare che questo è stato dettato dalla Madonna a Natuzza e pertanto è “immutabile”. Del resto – conclude sul punto – nemmeno l’iscrizione alle onlus è prevista nello statuto: come mai è stata fatta? Mistero su mistero».

In conclusione, con riferimento al rischio di dispersione dei beni della Fondazione, il vescovo, dopo aver ricordato che il del rischio erano pienamente a conoscenza i soci fin dall’inizio di questa contrapposizione e che in più occasioni lo ha anche espressamente ricordato, ha aggiunto «perché lo tirate fuori adesso che la macchina è partita? Le conclusioni sulla destinazione dei beni saranno date dal ministero e non dalla diocesi. Ma – ha garantito – vista la vostra preoccupazione, se vogliamo anche giusta a questo punto, perché non vi costituite in Ente Morale civilmente riconosciuto? (…) Per quello che dipende da me, mi prodigherò perché i beni non vadano dispersi ma vengano affidati a voi, una volta che vi sarete ricostituiti civilmente».

A questo punto, a meno di un improvviso quanto inaspettato colpo di scena, il futuro della Fondazione sembra ormai segnato.

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