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L'ospedale di Vibo Valentia

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VIBO VALENTIA – A distanza di molti anni dal commissariamento, la sanità calabrese ha ottenuto solo effetti negativi. Causa principale: la disparità nella distribuzione delle risorse che associata alla riduzione della spesa, ha provocato una forte carenza nell’offerta dei servizi sanitari che non garantiscono qualità ed efficienza. A pagare le conseguenze peggiori, e in termini di diritto alla salute, è proprio la provincia di Vibo Valentia.

L’unica ad essere fortemente penalizzata dalle disposizioni del Piano di rientro. La situazione della sua sanità, infatti, si è notevolmente aggravata: servizi sempre più carenti e inefficienti, struttura ospedaliera ai limiti dell’implosione, riduzione del personale medico-infermieristico e taglio del numero dei posti letto. Per fare un esempio delle disparità territoriali, all’Asp di Vibo Valentia sono assegnati 1,5 posti letto per mille abitanti, al contrario dei 2,3 di Crotone e Reggio Calabria e dei 2,5 di Cosenza e 3,4 di Catanzaro (Report sanità 2018).

Pertanto, il servizio sanitario vibonese non riesce a dare risposte alla domanda dei cittadini, nel frattempo anche aumentata. Ad essere messo fortemente in discussione è quindi il Piano di rientro. Non solo non ha ridotto il disavanzo, ma ha diminuito l’offerta dei servizi ospedalieri aumentando addirittura la spesa. E intanto la Calabria inadempiente continua a rimanere tra le regioni canaglie.

A muoversi per denunciare la situazione spingendo a una soluzione definitiva, sono Cgil, Cisl e Uil. Le segreterie vibonesi stanno organizzando piani di azione che li porterà a breve a un confronto sulla questione, ormai in emergenza, con Regione, Asp di Vibo Valentia, Prefettura ed anche Ministero della salute. A denunciare, durante una intervista, le criticità di una sanità vibonese ormai sull’orlo del precipizio, sono stati i segretari provinciali Luigi Denardo (Cgil), Sergio Pititto (Cisl) e Pasquale Barbalaco (Uil).

“Il Piano di rientro – hanno affermato in sintesi – non ha portato a nulla, se non a una forte carenza dei servizi e quindi a una scarsa qualità dell’offerta sanitaria, che ha spinto ulteriormente le persone a emigrare altrove anche per operazioni di routine”.

Proprio la mobilità passiva, tra l’altro aumentata in tutto il territorio regionale, è uno degli effetti negativi prodotti dal Piano di rientro, nonché il più paradossale dato che influisce ad aumentare la spesa. Secondo il Report della sanità 2018 infatti sono oltre 320 i milioni di euro che la Calabria paga alle altre regioni del nord per far curare i suoi corregionali.

L’intero caso è approfondito oggi sulle pagine cartacee del Quotidiano del Sud.

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