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L'ospedale Jazzolino di Vibo Valentia

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VIBO VALENTIA – Avrebbero, indubbiamente, voluto trascorrere il tempo con i loro cari, spensierati, allegri, magari al mare, oppure in montagna, o ancora semplicemente a casa. E invece nulla di tutto questo per una buona parte di loro. Nessuna festa, nessun pranzo in uno dei due giorni delle ricorrenze pasquali, solo un abbraccio, un bacio ai propri familiari, la mattina, e poi al lavoro per un motivo più “alto”, più nobile, quello della cura dei malati affetti dal Coronavirus.

Sono le persone che gravitano attorno al pronto soccorso e dal servizio Obi Covid dell’ospedale. Medici, infermieri, operatori socio-sanitari; figure professionali che, al pari delle forze dell’ordine, impiegate massicciamente sul territorio, e dei colleghi degli altri reparti, hanno trascorso Pasqua e Pasquetta in un modo e con uno spirito che mai avrebbero immaginato anche solo due mesi fa, quando la pandemia non era ancora scoppiata.

Il Quotidiano del Sud ha raccolto le loro testimonianze, i loro sentimenti e sensazioni in questa Pasqua atipica per tutta la popolazione italiana: «È stata una ricorrenza che certamente non ci aspettavamo di trascorrere in questo modo – ha affermato Giuseppe Gliozzi, dell’area Obi Covid – sia per chi ha operato che per chi ha usufruito dei giorni di riposo. Sì, perché anche in quest’ultimo caso il pensiero non è rimasto sgombro dalle sofferenze dei pazienti che vengono seguiti quotidianamente». Situazioni diverse, quindi, ma stessi sentimenti sia per chi è rimasto in trincea, sia per chi ha avuto la possibilità di staccare per qualche ora prima di tornare in prima linea ad «assistere con cure amorevoli chi sta soffrendo. Tutto il personale è stato mobilitato e fin dal primo giorno si sta operando  con enormi sacrifici, spesso senza badare ai turni che in non poche occasioni hanno sfiorato le 12 ore». Tempo e fatica enormi per il personale che deve anche fare i conti non solo con la fatica fisica – amplificata dalla necessità di bardarsi con i necessari dispositivi di protezione – ma anche con quella mentale visto che reggere mezza giornata di lavoro con i ritmi che richiede la situazione alla lunga può essere sfibrante. «Si arriva a fine giornata ormai svuotati, soddisfatti, ma quasi completamente senza forze – fanno sapere altri operatori – prova ne sono i profondi segni che abbiamo sul corpo a partire da quelli sul viso per via del prolungato utilizzo delle mascherine. Però quando ci si imbatte nei “grazie” e nei sorrisi dei pazienti la fatica un po’ svanisce perché vuol dire che abbiamo dato un momento di loro conforto».

Ciò che ha colpito, poi, gli stessi sanitari è stata la grande solidarietà dei vibonesi e non solo. A parlare è ancora Gliozzi: «Spesso noi operatori  in servizio qui all’ospedale di Vibo, ma in generale in tutti quelli della provincia, siamo visti, erroneamente, in modo negativo, però in questa occasione emergenziale il cuore della gente ha pulsato insieme al nostro, all’unisono, materializzandosi in strumentazione, dispositivi di protezione, e anche in un semplice incoraggiamento. Ecco, tutto questo calore può anche lenire la delusione di non aver trascorso la Pasqua con i nostri cari perché impegnati in quello che recita la frase del giuramento da noi prestato, servendo in questo caso, uno scopo più alto».

L’essere stati «vicino a queste persone che soffrono – ha ribattuto un Oss – ha rappresentato uno dei momenti più intensi della mia esperienza professionale. La famiglia resta tale, ma avremo modo di trascorrere altre feste tutti insieme, ma di fronte al dolore altrui non possiamo dire sottrarci. Non siamo né pazzi né eroi, siamo medici, infermieri, operatori sociosanitari ed è questa la nostra missione». 

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