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La panchina gialla posizionata a Dasà

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VIBO VALENTIA – Non sempre è facile raccontare alcune storie. Qualcuna nasconde così tanta intensità e dolore che è in primis difficile da ascoltare, tanto più da scrivere.

L’endometriosi – malattia invalidante e cronica che colpisce una donna su dieci – è sicuramente una di queste. La patologia in questione nasce come ginecologica, ma spesso interessa diversi altri organi femminili (intestino, cavo del Douglas, addome, ureteri e molti altri).

Nel corpo delle donne affette dalla malattia, l’endometrio (mucosa che generalmente dovrebbe rivestire la cavità uterina) è al di fuori della sua sede naturale, e crea focolai in diverse parti del corpo. Nonostante sia una malattia potenzialmente invalidante (può causare dolori pelvici cronici, difficoltà gastro-intestinali, sterilità, disagi fisici persistenti e molto altro), è molto poco conosciuta, e solo negli ultimi anni, attraverso soprattutto le attività di varie associazioni, sta provando a farsi spazio tra le cronache. Uno dei consorzi fondati proprio per sensibilizzare le persone alla malattia è nato ad aprile, ed è “La voce di una è la voce di tutte”.

Da pochi giorni Carmen Amato, una delle tre referenti regionali dell’associazione, sotto impulso di Vania Mento (la sovrintendente), ha iniziato a proporre a molti comuni della Calabria – così come ognuna delle volontarie d’Italia ha fatto nella sua regione – di aderire ad un’iniziativa del sodalizio. Il progetto, chiamato “Sediamoci sul giallo: Endopank”, sostanzialmente consiste nell’inserimento di una panchina gialla (colore simbolo della malattia) su cui appendere una targhetta dell’associazione.

Il Quotidiano del Sud si è già occupato della vicenda: a Dasà, giorni fa, è stata inaugurata la prima “Endopank” d’Italia. Anche altri comuni calabresi, fra cui quello di Pizzo Calabro, si stanno muovendo, proprio per sensibilizzare le persone alla conoscenza della malattia. La vera piaga dell’endometriosi, infatti, è proprio il fatto di essere quasi sconosciuta, e dunque poco raccontata e studiata. Spesso sono proprio i ginecologi a non comprenderla bene e, di conseguenza, anche le molte donne che ne soffrono, senza neppure sapere di esserne affette.

Dunque, oltre che una diagnosi tardiva, frequentemente la donna subisce la terribile paura di non avere in realtà alcun problema, proprio perché può essere difficile diagnosticarlo. La vergogna e il silenzio sono infatti caratteristiche comuni tra le persone affette da endometriosi. Ecco perché, come spiegato da Vania Mento, è nata pochi mesi fa l’associazione: «La frase “La voce di una è la voce di tutte” mi è venuta in mente qualche anno fa. Molte donne affette dalla mia stessa patologia spesso si vergognano nel raccontarla. Per anni, quindi, ad ogni mio post su Facebook in cui raccontavo aspetti della malattia, ho sempre inserito questa frase. Il mio scopo è stato sin dall’inizio quello di rappresentare, attraverso i miei racconti, quelli di tutte le altre. Così ad aprile, quando ho fondato l’associazione, è stato naturale per me scegliere il nome».

In Italia sono circa tre milioni le donne che soffrono a causa di questa patologia. Carmen Amato ha così evidenziato: «L’idea dell’associazione è nata proprio perché è necessario dare la possibilità a tutte noi di cambiare qualcosa. Siamo spesso dimenticate, e la malattia, di cui non si conosce né l’origine né la cura, continua a invalidare milioni di donne. Ecco perché – ha precisato la referente – abbiamo anche progettato un centralino giallo per tutte. Non diamo chiaramente istruzioni mediche o sanitarie, ma tentiamo di indirizzare al meglio le donne che necessitano aiuto, sia fisico che morale».

E qui trova anche il senso l’iniziativa per i comuni: come spiegato dalla presidente: «Chiunque vedrà le panchine gialle, certamente sarà attratto dal colore bizzarro ed inusuale. E magari, avvicinandosi, potrà leggere il perché di quella creazione, andando poi a ricercare nozioni sulla malattia. Sarebbe un onore per noi sapere di catturare l’attenzione di chiunque passi da lì e si sieda sulle panchine».

Come si può aiutare qualcosa se non se ne conosce neppure l’esistenza? Ecco perché queste associazioni non smetteranno mai di promuovere iniziative del genere. Le malattie non possono passare inosservate, così come non deve essere ignorato il dolore delle persone e, in questo caso, delle donne. La sofferenza – anche di una sola donna al mondo – già di per sé basterebbe per suscitare le attenzioni collettive, e non dovrebbe mai, davvero mai, smettere di fare rumore.

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