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Nella fiction “1994”, trasmessa su Sky in queste sere, si racconta della discesa in politica di Silvio Berlusconi, con la ricostruzione dei retroscena della nascita di Forza Italia. Personaggio di spicco del cerchio magico del cavaliere di Arcore è un soggetto senza scrupoli, vero gestore del potere del Cavaliere. Accade che costui, esperto di intrallazzi politici, si espone fino al punto da rischiare di non fare più il ministro, così come gli era stato garantito da Berlusconi. A chi gli fa presente questo rischio egli, però, risponde lapidario: “Non mi interessa fare il ministro, Perchè sono io che decido chi deve fare il ministro”. Questa scena mi ha fatto riflettere su quanto sta accadendo ad Avellino nella quale l’aria è sempre più cupa e pesante. Qui davvero c’è di tutto. La criminalità, che vede rompersi i vecchi equilibri, e la preoccupazione di alcune scelte inopportune che fanno discutere.
Così ho pensato al ruolo di Gianluca Festa. Mi spiego. Il sindaco di Avellino è dotato di buon umore contagioso con quel sorriso a trecentosessanta gradi e la non comune capacità di rassicurare il cittadino questuante. Ma oltre questo, che gli fa onore, c’è qualcosa che, a mio avviso, non quadra. Ho, infatti, il dubbio che egli sia gioioso della sua immagine guasconesca, ma prigioniero di coloro che gestiscono davvero il potere in città. Per mia decenza non uso il termine “comitati di affari”, ma ho il sospetto che Gianluca Festa abbia un ruolo molto relativo nelle decisioni più importanti. Perchè, come nella fiction di Sky, a decidere sono gli altri. Quelli che gli hanno consentito di realizzare il suo sogno coltivato “fin da bambino di diventare sindaco di Avellino”. Forse, ben per lui, è giunto il momento di fare i conti con la realtà. Che è quella di una città assediata dal malaffare criminale, che da una parte usa il linguaggio delle bombe e dei mitra, e dall’altra quello della impunità della pubblica amministrazione, talvolta infetta. E’ giunto il momento, a mio avviso, di fare chiarezza. Uscire dalle tenebre e cominciare a respirare aria pulita. Chiarezza, dunque, ora e subito. Non in modo strumentale, come pure si fa da qualche parte delle opposizioni consiliari, ma affrontando con decisione e fermezza la Grande Questione Morale, la cui assenza sta costruendo in città una miscela esplosiva. Il sindaco convenga con me che attaccare i simboli della legalità, come è accaduto nel caso delle accuse a Libera, è non solo una caduta di stile, ma rende fragile l’impegno di chi si spende sul terreno della legalità e della trasparenza. Così come non sembra opportuno premiare inquisiti ( innocenti fino a sentenza definitiva) o allargare il potere di chi già ne ha fin troppo. Egli inconsapevolmente, forse da prigioniero del consenso ricevuto, legittima quel continuismo affaristico che ha segnato le pagine più tristi della realtà cittadina. Perchè sia chiaro: molti sindaci negli ultimi anni, pur non volendolo, sono apparsi come dei fantocci, mossi da chi aveva il potere di decidere. Da qui nascono i comitati di affari, da qui chi agisce nell’ombra condanna la città ad una cattiva sorte. Da qui il sindaco deve ripartire senza accettare pressioni o ricatti da chi, avendogli dato il supporto per essere eletto, si presenta ora per incassare cambiali disonorate. Ha un’arma: l’autonomia. La usi.

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