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MONTELLA – Il Quotidiano del Sud ha intervistato Paola Giannone, infermiera 118 del SAUT Montella e Calitri da quasi cinque anni e presidente del Comitato Festa di San Francesco. Paola, che compirà trent’anni a settembre, prima di fare l’infermiera ha frequentato per tre anni la scuola di Musicoterapia Carlo Gesualdo, lavorando, poi, come responsabile del laboratorio di musicoterapia per Cefras con sede presso la Villa de Marco di Montella.
«In quegli anni – comincia a dire- è nato in me il desiderio di diventare infermiera, al fine di portare il lato emotivo delle cure anche negli ospedali».
Paola lavora sull’ambulanza ma a breve verrà trasferita in uno dei presidi ospedalieri del napoletano.
«Sulle ambulanze lavoriamo come liberi professionisti», racconta, «per anni abbiamo partecipato a bandi e avvisi pubblici per infermieri e adesso le graduatorie scorrono in fretta per via del reclutamento eccezionale. Si tratta di un contratto di 6 mesi, prorogabile di altri sei mesi nel caso in cui l’emergenza si protragga, non sappiamo cosa succederà dopo, ma almeno si ottengono punti in più nelle graduatorie. Dispiace lasciare il mio territorio e la mia terra, non solo perché, tra il bando della protezione civile, i concorsi e gli avvisi pubblici dell’Asl di Avellino, Caserta e Salerno, siamo rimasti in pochi (solo tre infermieri), ma perché lascio, insieme alla mia azienda, la possibilità di operare sul mio territorio e di fare qualcosa di buono per il mio paese».
Lavorare sulle ambulanze di questo periodo è molto pesante, anche per l’isolamento che questi ragazzi osservano, sia tra loro nella sala comune, che un tempo serviva a sollevare il morale della squadra, e sia a casa.
Ognuno di loro, infatti, sta vivendo un isolamento preventivo anche con la propria famiglia: «Quando ci arrivano le chiamate da Avellino e ci indirizzano su un “sospetto” caso Covid, ci vestiamo con i presidi adeguati mandati dall’Asl. Questo materiale scarseggia un po’ da tutte le parti e quindi lo utilizziamo solo ed esclusivamente sui casi definiti, da chi riceve le chiamate di soccorso, “sospetti”. Abbiamo accompagnato noi ad Avellino il caso sospetto di Bagnoli, poi confermato positivo, ma il brutto di questo lavoro è che non abbiamo poi notizie del paziente che soccorriamo.
Per il momento, noi non abbiamo fatto tamponi. E la preoccupazione c’è, ed è anche tanta. Per questo motivo, io, come tutti i miei colleghi, ho lasciato la mia famiglia e ho preso in affitto una casa per me. Vivo ormai da settimane completamente sola. L’isolamento è duro e, indubbiamente, ha un peso importante a livello psicologico. Eppure, è l’unico modo che mi fa stare più tranquilla per tutelare la mia famiglia».
Inoltre, proprio nelle prossime settimane Paola e il suo ragazzo avrebbero fatto la promessa di matrimonio, per sposarsi a fine giugno.
«Per il momento tutto è rimandato, non sappiamo se ci sposeremo o meno a giugno. Cerchiamo di prenderla bene, anche se rimane una situazione difficile. Il corso prematrimoniale chiaramente è saltato, ma rimaniamo in contatto con le altre coppie.
Il matrimonio è un passo importante e la data può mutare, l’importante è vivere un rapporto d’amore. La lontananza dell’altro che oggi provo e sento, la necessità di vederlo in questa situazione, non fa altro che confermare la sua importanza.
In questo momento stiamo vivendo un rapporto molto personale con noi stessi, bisogna essere forti anche se può capitare di crollare. Nel mio caso, è la fede a darmi forza, e a cercare uno spiraglio di luce».
«Dicono che sono un angelo, ma io faccio solo il mio lavoro. Ci vuole una vocazione, è vero, ma non ci sentiamo migliori di prima, ognuno di noi continua a svolgere il proprio lavoro nel modo che più gli è proprio. Non mi rivedo nell’essere un eroe. Non faccio niente di eccezionale, faccio quello che ho sempre voluto fare e per questo non penso di essere migliore di altri, ogni lavoro ha la sua dignità, che va rispettata sempre, in qualsiasi circostanza».
Difficile non definire come eroe tutto il personale medico impegnato in prima linea in questa emergenza. Ci vuole coraggio non tanto a compiere il proprio lavoro, scelto per passione e vocazione, come sottolinea giustamente Paola, ma a svolgerlo nelle condizioni in cui la classe politica ha ridotto oggi la nostra sanità.

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