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Quella mattina a Lioni, in piazza san Rocco, quando Sandro Pertini indignato lanciò quel grido di dolore, io c’ero. Il presidente quella sera tornò al Quirinale e fece il suo appassionato discorso al Paese. Esattamente quaranta anni fa. In questo lungo tempo da quella malanotte si sono scritte pagine alcune buone, alcune cattive.

Non solo sulla tragedia epocale e i suoi aspetti emotivi, ma anche su come sia avvenuto il cambiamento in un vasto territorio definito, dalla buonanima di Giuseppe Zamberletti, “ grande quanto il Belgio”. I terremoti e le grandi catastrofi hanno nei loro “post” elementi comuni negativi: lo sperpero, i processi nei tribunali per illecito arricchimento e quanto altro produce scandalo.

Questa narrazione esclude ben altre responsabilità che riflettono il modo di fare politica. Chiama in causa, in particolare, la moralità nell’esercizio delle funzioni pubbliche. Questi aspetti rendono compatibili un raffronto tra il terremoto dell’80 e l’attuale tragedia della pandemia da Coronavirus. In entrambe le disgrazie l’elemento sorpresa è stato determinante per gli effetti generati.

Nel primo caso, il terremoto ha prodotto migliaia di vittime, così come sta avvenendo in maniera ancora più tragicamente rilevante anche a causa della pandemia. Ma mentre il tremare della terra con i danni ingenti conseguenti generò la grande stagione della solidarietà, il Covid 19 presenta aspetti di grande confusione, conflitti (tra politici e virologi, ad esempio) e paura. Gli errori in questa catastrofe contemporanea sono molti: dalla mancanza di un piano pandemico e dalla criminale sottovalutazione dei tempi di intervento, alla disorganizzazione sanitaria nel Paese, per finire con la radice del male: la politica che in tutti questi anni ha imposto il peggio nei posti strategici, penalizzando i meritevoli.
E i danni di questa “mediocrazia” si consumano sulla pelle dei cittadini.

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