X
<
>

Condividi:
5 minuti per la lettura

Giusto 35 anni fa, nel maggio 1985, GIOVANNI PAOLO II effettuava la sua visita pastorale nei Paesi Bassi (Olanda, Belgio e Lussemburgo). Era la prima volta che un Pontefice si recava in zone in cui il cattolicesimo era in forte minoranza e la stessa chiesa si differenziava dalla politica del Vaticano.
A Utrecht, nella seconda giornata del suo viaggio, il Papa fu duramente contestato e vi furono vari scontri tra polizia e gruppi del dissenso cattolico.
Ci furono feriti e fermi, tra gli altri l’autore dell’articolo che segue e l’inviato del Corriere della Sera, Ettore Mo .
Circa Cinquemila giovani (punk, autonomi, anarchici e contestatori del Vaticano) protestarono contro l’arrivo del Papa in Olanda. A seguire quel viaggio, inviato speciale de Il Mattino era allora Gianni Festa.
Tra le sue tante corrispondenze dall’estero abbiamo selezionato quella che propone il bilancio di quella difficile esperienza vissuta.

dal nostro inviato GIANNI FESTA
Dicono che Giovanni Paolo II sia il Papa della “fede e della ragione”, che il suo vero desiderio sia quello di riportare nel gregge le tante pecore che, dal dopo Concilio in poi, si sono smarrite lungo il percorso del cattolicesimo. Siano essi semplici credenti, preti o suore. E a giudicare dal suo ventesimo viaggio, nei Paesi del Benelux, tutto questo ha un preciso riscontro. In Olanda i cattolici sono poco meno del 40 per cento ma la loro capacità di contestazione è stata di una tale forza che Giovanni Paolo II non ha potuto fare a meno di spezzare una lancia in favore di quanti si sentono fortemente emarginati dall’istituzione. Senza recedere di un passo nei confronti degli omosessuali, dei divorziati, di coloro che fanno uso dei contraccettivi (i tanti, in sostanza che hanno fortemente contestato il Papa fino al punto di tirargli cosa mai vista, lattine di Coca-cola o bottiglie di gin). Giovanni Paolo II ha tentato di imporre le ragioni universali della Chiesa affidando significati precisi alla vita e alla sua dignità ma aprendo soprattutto un dialogo con quei cattolici che sentivano Roma lontana.
Ad Utrecht, insieme con gli originali punk, i cattolici meno agitati sembra che abbiano capito la lezione se è vero, come è vero, che la grande stampa di opinione non ha potuto fare a meno di sottolineare che la visita pastorale del Sommo Pontefice ha rimesso in moto un meccanismo di discussione senza cui i cattolici sarebbero ben presto diventati “senza fede”. In Lussemburgo, tutto, invece, è andato liscio. O, almeno, la contestazione ha ceduto il posto alla fede. Una pausa tranquilla prima di toccare il Belgio, paese arroventato da una forte crisi economica, dilaniato dalla mal digerita presenza di più razze, preoccupato dalla posizione, non sempre limpida, che la Chiesa di Roma assunse nel mondo.
In Olanda, come in Belgio, il Concilio Vaticano II aveva portato, più che altrove, una ventata di novità. Gli stessi protagonisti del Concilio ( da Alfrink a Schillinbeck) sono oggi un pezzo di storia, non solo per l’età, rimesso in ripostiglio.
La storia di oggi è opera di cardinali definiti conservatori come Simonis in Olanda e Daneels nel Belgio, Ed insieme con loro nuovi vescovi che, testimoniando il segno dei tempi, hanno accentuato quella che, in qualche modo, qualcuno definisce “la marcia del gambero” della Chiesa di Wojtyla. Ma è proprio così? Il Papa, in questo suo viaggio, nei paesi del Benelux, ha più volte ribadito che “il Concilio è stato male interpretato”. Lasciando intendere che i principi che dal Concilio sono venuti sono stati malamente utilizzati dalla società consumistica che ha ammazzato i valori ed allontanato l’uomo dalla fede. Si spiega così la crisi che ha travolto la coppia e il matrimonio, l’uso che la scienza fa nella manipolazione biologica della vita, l’allargarsi della violenza soprattutto fra i giovani. Il capo di una Chiesa ha il dovere di salvaguardare precisi principi sui quali ogni mediazione potrebbe far correre il rischio di una confusione generalizzata. Ma Giovanni Paolo II nel difendere questi principi non ha risparmiato critiche agli stessi pastori della Chiesa, che hanno trascurato l’insegnamento della fede, assumendo più il ruolo di “depositari di potere che di successori degli apostoli”. Wojtyla queste cose le ha dette a chiare lettere avendo probabilmente avvertito che tra ciò che la Curia gli riporta e ciò di cui invece è testimone, c’è talvolta qualcosa di incomprensibile. Il richiamo ai vescovi, in Olanda, Lussemburgo e Belgio, se letto in questa chiave, non è affatto casuale.
Ma in questo viaggio, la Chiesa di Giovanni Paolo II ha testimoniato, per l’Europa e per il mondo, un impegno che va ben oltre i discorsi di occasione.
Prima di tutto l’impegno per la pace. “La Chiesa – ha detto il Pontefice – svolge il suo ruolo formando le coscienze: i governanti devono compiere a loro volta atti concreti”. Fermare la corsa agli armamenti, allargare la base della solidarietà, sono punti a favore della distensione del mondo. Collegato alla pace è il problema della fame nel mondo. “Rispondere all’appello di chi muore di fame è un dovere” ha ripetuto Wojtyla alle folle che lo hanno accolto, puntando l’indice contro la società opulenta. Drammatico è anche il problema della disoccupazione, specie giovanile, a cui il Papa ha fatto più volte riferimento, parlando con una certa preoccupazione del vuoto che possono creare le nuove tecnologie.
Per la prima volta il capo di una Chiesa è stato accolto nella sede della Comunità Europea a Bruxelles. Era l’occasione per Giovanni Paolo II di sottolineare la necessità di un’Europa unita. Lo ha fatto definendo ingiusta la spartizione di Yalta, affermando che i paesi che sono costretti a star fuori della Comunità (il riferimento vale soprattutto per la Polonia) hanno il desiderio di poterne far parte. Un’Europa unita è un granello in più verso la pace, è una riposta in più adeguata ai problemi della disoccupazione, è il superamento di certe forme di razzismo che ancora resistono tra frontiere non ancora cadute.
Un viaggio positivo, dunque, al di là del calore, dell’entusiasmo delle decine di manifestazioni che i cattolici dei Paesi Bassi hanno voluto riservare al primo testimone della Chiesa di Cristo. Un viaggio che ha aperto nuovi orizzonti; che, come a Lovanio, ha riproposto l’attenzione sui problemi più scottanti della Chiesa nella società a cominciare dalla teologia della liberazione che, nel Belgio, (ma anche altrove) gli intellettuali hanno chiesto al Papa di “riconoscere come testimonianza evangelica”. Un viaggio che ha soprattutto aperto un dialogo con i giovani che chiedono risposte e la Chiesa che con il suo Pontefice si è impegnata a darle.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE