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AVELLINO – I tempi brevi di questa campagna elettorale che si modula su un trasformismo mai visto, con cambi di casacca dettati dall’opportunismo e con alleanze che spuntano dal cilindro della malapolitica, ci consentono alcune riflessioni delle quali è opportuno parlarne.

La sicumera dei candidati di essere eletti si scontra con i percorsi lenti e ad ostacolo che ancora si agitano nei partiti. Se è vero, come si sostiene, che i più grandi tradimenti si consumano a tavola alla regola non sfugge neanche Livio Petitto che in uno storico ristorante avrebbe radunato alcuni suoi fedelissimi confidando loro una presa di distanza dal suo pigmalione, il sannita Umberto Del Basso De Caro.

Le cause del distacco sarebbero nel ruolo negativo che l’ex sottosegretario ha assunto in questa vigilia di una triste e maleodorante campagna elettorale soprattutto in Irpinia. Si tratta solo di una manovra strumentale per tentare di prendere maggiori consensi?

La vicenda appare poco credibile soprattutto perchè Petitto continua a godere dei favori di De Caro nella sua segreteria. Quanto alla capacità del nostro di prendere le distanze dai suoi autorevoli sponsor non è proprio una novità.

Hanno fatto rumore infatti, e non poco, in settimana alcune precisazioni dell’ex presidente del Senato, Nicola Mancino, a cui Petitto deve non poco. In realtà l’ex presidente del consiglio comunale di Avellino nel governo guidato da Paolo Foti è stato il vero dominus della gestione del potere di Piazza del Popolo.


Nelle questioni più delicate, con grande abilità, pur senza esposizione mediatica, si ritrova il suo zampino. Penso alla crisi del Teatro Gesualdo, alla creazione della Control room (gestione videosorveglianza messa su dal Comune) alla influenza esercitata nella gestione dei “vigilini” del traffico. Solo per fare degli esempi.
Questo ed altro gli hanno permesso di poter gestire un ampio consenso che, come è noto, ha portato Gianluca Festa sullo scranno più alto della città. Non intendo dire che il sindaco sia solo uno strumento, certo è che non appena egli ha tentato di difendere la sua autonomia è stato costretto a fare marcia indietro tornando ad onorare il patto di obbedienza.
Questo per quanto riguarda la città.


Ma il voto regionale comporta un consenso che deve essere espresso da tutta la provincia. Quindi alcune scelte di De Caro avrebbero potuto mettere in crisi Petitto. Di qui l’improbabile presa di distanza.
Ma torniamo al voto di settembre. L’elettore si trova di fronte a non poche difficoltà di scelta. Da una parte si assiste ad una lotta fratricida fra gli appartenenti ad uno stesso partito che non riesce a decidere rinviando di giorno in giorno la definizione della lista dei candidati, dall’altra l’assoluta assenza del dibattito sui temi della contesa: quel regionalismo che, dopo mezzo secolo dall’attuazione del dettato costituzionale, va decisamente rimodellato.

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