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Pubblicato con Adelphi il carteggio fra Eliade e Cioran
«Un giovane di Sibiu, biondo, con i capelli scompigliati sulla fronte», è così che Emil Cioran appare per la prima volta agli occhi di Mircea Eliade nel 1932, in occasione di una conferenza sul poeta bengalese Rabindranath Tagore. A presentarli è Constantin Noica, il filosofo che diventerà celebre per la sua “logica di Hermes” e per essere un simbolo della repressione del regime di Ceaușescu. Se Cioran è ancora un giovane studente sconosciuto ai più, Eliade si sta già affermando come orientalista, dopo un’esperienza sul campo in India. Nessuno può sospettare che sta per nascere un’amicizia che, sebbene a volte pungente e a volte piena di incomprensioni, durerà per il resto della loro vita. Il primo motivo di scontro fra i due avviene in quello stesso anno, quando il futuro storico delle religioni attacca Cioran, accusandolo di essere ossessionato dalla morte e di partorire soltanto idee lugubri. Nell’ottobre del 1933, con un durissimo articolo dal titolo L’uomo senza destino, senza menzionarlo mai direttamente, Cioran attaccherà tacitamente l’amico: «Diffidate dell’uomo che non è o non può diventare un “caso”; dubitatene a ogni passo, a ogni gesto; non dovete cercare la tragedia nella sua versatilità e le torture nei suoi dubbi; amate in lui l’assenza di fatalità, per trovare in questa disposizione minore la soddisfazione del vostro equilibrio e della vostra comodità». Dietro tale conflitto, vi era anche la brusca rottura della relazione di Eliade con la bellissima Sorana Țopa, attrice di gran talento ossessionata dai problemi metafisici. Cioran non aveva digerito che l’amica fosse stata lasciata per un’altra donna, Nina Mareș, con la quale Eliade si sarebbe sposato di lì a poco. Nonostante gli eventi, la stima fra i due resta immutata, in una lettera del ’35 Eliade confessa al pensatore romeno: «Benché provi per te un’infinita e non smentita simpatia, a volte sento il desiderio di attaccarti, senza argomenti, senza prove e senza idee. Ogniqualvolta ho avuto l’occasione di scrivere qualcosa contro di te, il mio affetto è aumentato».

«Un giovane di Sibiu, biondo, con i capelli scompigliati sulla fronte», è così che Emil Cioran appare per la prima volta agli occhi di Mircea Eliade nel 1932, in occasione di una conferenza sul poeta bengalese Rabindranath Tagore. A presentarli è Constantin Noica, il filosofo che diventerà celebre per la sua “logica di Hermes” e per essere un simbolo della repressione del regime di Ceaușescu. Se Cioran è ancora un giovane studente sconosciuto ai più, Eliade si sta già affermando come orientalista, dopo un’esperienza sul campo in India. Nessuno può sospettare che sta per nascere un’amicizia che, sebbene a volte pungente e a volte piena di incomprensioni, durerà per il resto della loro vita. Il primo motivo di scontro fra i due avviene in quello stesso anno, quando il futuro storico delle religioni attacca Cioran, accusandolo di essere ossessionato dalla morte e di partorire soltanto idee lugubri. Nell’ottobre del 1933, con un durissimo articolo dal titolo L’uomo senza destino, senza menzionarlo mai direttamente, Cioran attaccherà tacitamente l’amico: «Diffidate dell’uomo che non è o non può diventare un “caso”; dubitatene a ogni passo, a ogni gesto; non dovete cercare la tragedia nella sua versatilità e le torture nei suoi dubbi; amate in lui l’assenza di fatalità, per trovare in questa disposizione minore la soddisfazione del vostro equilibrio e della vostra comodità». Dietro tale conflitto, vi era anche la brusca rottura della relazione di Eliade con la bellissima Sorana Țopa, attrice di gran talento ossessionata dai problemi metafisici. Cioran non aveva digerito che l’amica fosse stata lasciata per un’altra donna, Nina Mareș, con la quale Eliade si sarebbe sposato di lì a poco. Nonostante gli eventi, la stima fra i due resta immutata, in una lettera del ’35 Eliade confessa al pensatore romeno: «Benché provi per te un’infinita e non smentita simpatia, a volte sento il desiderio di attaccarti, senza argomenti, senza prove e senza idee. Ogniqualvolta ho avuto l’occasione di scrivere qualcosa contro di te, il mio affetto è aumentato».

Sono anni di incandescenza politica. Eliade aderisce di fatto al movimento legionario di Codreanu, la Guardia di ferro, formazione fascista e paramilitare che auspicava una nuova grande Romania cristiana. Egli non esita a mostrare il suo disgusto per l’Europa, un continente che avrebbe la colpa di aver scoperto le scienze profane e l’uguaglianza sociale. A ridosso del Natale del 1935, pubblica il romanzo Huligani, dove viene tracciato il profilo della “Giovane generazione”, composta per di più da ribelli e inquieti studenti universitari: «Non ci sarà più né morale né responsabilità. Ritorneremo alla barbarie, all’orda». Nel personaggio di Cezar Tomescu, un uomo che ha studiato fino all’esasperazione per evitare di pensare al suicidio, è facile scorgere proprio i connotati caratteriali di Cioran. Nello stesso tempo, quest’ultimo, se in un primo momento definiva la politica un’immensa porcheria e nella corrispondenza malinconicamente narrava la sua volontà di fuga dall’esistenza: «Vorrei leccare tutte le ferite di questo mondo. […] Ho un cuore in mi minore. Tutto ciò che esiste mi sembra alimentare una tristezza incommensurabile», successivamente fu affascinato dell’arte oratoria hitleriana, capace di ipnotizzare un intero popolo. Fu così che nel 1936 venne dato alle stampe La trasfigurazione della Romania, opera successivamente completamente rinnegata. Nel bigliettino d’auguri di Capodanno, Nina gli scrive scherzosamente: «Che tu possa diventare Dittatore nel 1937!»

Nel giugno del ’37, l’Università sospende Eliade dall’insegnamento per immoralità, il suo romanzo Signorina Christina viene ritenuto pornografico. Cioran scrive un articolo in sua difesa, invocando una notte di San Bartolomeo «di certi vecchi», in riferimento alla strage del 1572 dei cattolici ai danni degli ugonotti. Nel gennaio dell’anno successivo, Eliade stronca la nuova pubblicazione di Cioran Lacrime e santi, accusando l’amico di elaborare invettive per rendere ancora più impenetrabile la sua solitudine. Entrambi ammirano e sognano l’Italia, ma il loro destino sarà altrove.

Dopo una breve esperienza a Londra, Eliade si gode il nuovo incarico da diplomatico a Lisbona dal 1941. Se lo storico delle religioni manifesta apertamente il suo appoggio alla dittatura di Salazar, Cioran si stabilisce in Francia e inizia a riflettere sul suo scabroso passato romeno, che definirà l’apice negativo della sua esistenza. Il primo capitolo del primo libro pubblicato in lingua francese, non a caso si intitolerà Genealogia del fanatismo. Il pensatore romeno si batte contro la deportazione dell’amico Benjamin Fondane, che finirà i suoi giorni ad Auschwitz. Finita la guerra, anche Eliade si trasferisce in Francia, dove cinque anni dopo con rito ortodosso si sposerà nuovamente con Christinel Cottescu e Cioran farà da testimone. I due amici usufruiscono dello speciale passaporto Nansen, conservando lo statuto di apolidi.

Nei suoi diari, Eliade imputa a Cioran di non comprendere il suo interesse per l’aspetto positivo delle religioni, ma di interessarsi unicamente alle peculiarità biografiche di santi e mistici. D’altro canto, in uno dei suoi Esercizi d’ammirazione, il pensatore romeno considererà l’amico come l’esponente più illustre del “neo-alessandrinismo”: «il quale, al pari dell’antico, mette tutte le credenze sullo stesso piano, senza poterne adottare nessuna […] Siamo tutti, Eliade in testa, ex credenti, siamo tutti spiriti religiosi senza religione». Uno dei diversi contrasti intellettuali, che si aggiungerà alle numerose differenti scelte di vita, che tuttavia non riusciranno a separare i due dalla loro amicizia, i quali, al contrario, anzi, instaureranno una sorta di reciproco mutuo soccorso nei momenti di maggiore difficoltà.

Eliade diventerà un affermato docente presso l’Università di Chicago, mentre Cioran si auto-considererà un perdigiorno e si stabilizzerà in una piccola mansarda con la sua compagna Simone Boué. A raccontare queste due straordinarie esistenze, attraverso il carteggio fra i due, che comprende le centoquarantasei lettere recuperate e che potrebbe essere ulteriormente ampliato in futuro, sono Horia Corneliu Cicortaș e Massimo Carloni nel volume da loro curato per Adelphi (La collana dei casi) con il titolo Una segreta complicità. Lettere 1933-1983.

Negli anni ’80 ci sarà tempo per un ultimo scontro fra i due, questa volta per meri motivi di ospitalità. Fra le maldicenze reciproche, viene coinvolto anche l’altro grande romeno del secolo, Eugène Ionesco, ma Cioran minimizzerà l’accaduto parlando di semplici baruffe fra scrittori, «tra puttane che battono lo stesso marciapiede». Il 22 aprile 1986 il cuore di Eliade si ferma e Cioran scrive per l’occasione un necrologio intitolato Finalmente un’esistenza compiuta!, dove descriverà l’amico defunto come il meno balcanico della sua generazione, uno dei pochi a non possedere l’indole al fallimento, salutandolo con queste parole: «Ma il rimprovero più grave che ho avuto la sfacciataggine di rivolgergli è di essersi occupato di religioni senza avere uno spirito religioso. […] se comprendiamo tutti gli dèi, è perché nessuno di loro realmente ci sta a cuore. Un dio esiste per essere adorato o ingiuriato. Non ci s’immagina un Giobbe erudito. […] La chiave del suo invincibile ottimismo bisogna cercarla nel suo accanimento a lasciare un’immagine completa delle sue risorse, a realizzarsi insomma come nessun altro, con il rischio, ammettiamolo, di privare gli amici e nemici del piacere di rimuginare sulle sue défaillance».

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