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Secondo Giovanni De Luna e Franco Cardini, il “Giorno del Ricordo”, istituito quattro anni dopo “Il Giorno della Memoria”, di fatto pone una questione tutta italiana. Scrive Angelo Del Boca in “Italiani brava gente”: i crimini commessi dalle truppe di occupazione sono stati sicuramente, per numero e ferocia, superiori a quelli consumati in Libia e in Etiopia (…) nei Balcani, il lavoro sporco, lo hanno fatto interamente gli italiani. La storica Alessandra kersevan, autrice di un libro dal titolo “Lager italiani, pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943”, entra nel merito con tutta una serie di documenti, molti dei quali inediti, da cui emerge una realtà se non pari a quella descritta da Primo Levi poco ci manca.

Campo di Gonars, Udine
Antonietta Stimic, una delle internate nel campo di Gonars, racconta in una lettera: ci troviamo qui a Gonars, lo puoi comprendere da solo; perché, scrivendoti, non lo crederesti, specialmente ora che ci siamo trasferiti un po’ più vicino. Purtroppo la situazione è peggiorata; non sappiamo come ci potremo sistemare e sostenere più oltre. Qui c’è una forte mortalità di bambini, e di vecchi. E presto avverrà che anche i giovani dovranno perire, poiché siamo nelle baracche, senza stufa, con un freddo intenso. Vorrei descriverti meglio, ma preferisco tacere. Antonietta Stimic, baracca 2/3, sezione A. Lettera mai fatta arrivare al destinatario Donzetic Carlo, via Santa Entrata, 222, Fiume.
Presso l’Archivio di Stato di Trieste sono depositate testimonianze altrettanto significative. Questa del novembre 1942 cita: Se avete, mandateci un po’ di pane. Sapeste quanto siamo ansiosi di qualche cibo secco! Non rimproverarmi di quanto ti chiedo; se tu ci potessi vedere, piangeresti a trovarci in questo stato. Soffriamo il freddo e la fame, e particolarmente i pidocchi…

Il Generale di Corpo d’Armata, Mario Roatta, nell’estate del 1942, scriveva: …questo comando habet incaricato Intendenza preparare in un’isola dalmata campo di concentramento della capacità di circa 20,000 internati. Il più grande campo di concentramento per jugoslavi.
In un’isola, oggi appartenente alla Croazia, di nome Arbe, dall’estate 1942 al settembre del 1943 furono lasciate morire per fame più di 1500 persone. Secondo dati più recenti i morti ammonterebbero a 1760. Molte voci di questi disperati furono raccolte dall’allora vescovo Veglia, in una lettera del 5 agosto 1943, portata in udienza dal Papa. Ad Arbe, si legge in questa lettera, nel territorio della mia Diocesi, ove all’inizio del mese di luglio 1942 si aprì un campo di concentramento nelle condizioni più miserabili che si possano immaginare, morirono fino al mese di aprile a. corr., in base agli esistenti verbali più di 1.200 internati; però testimoni vivi ed oculari, che cooperavano alle sepolture dei morti, affermano decisamente, che il numero dei morti per il detto periodo ammontano almeno a 3.500, più verosimile a 4.500 e più.
Gennaio 1943. Dal Campo di Arbe, Dalmazia
Vi scongiuro di mandarmi qualche cosa da mangiare. Milenka (la figlia) è morta a Arbe, era soltanto pelle e ossa; il 31/12 è morto pure mio padre, con altri 12 uomini. Liberateci da questo campo, dal Golgota della nostra vita.

L’alimentazione
Jole Loren, internato nel luglio 1942 nel campo di Gonars, così descriveva la razione di cibo: Ascoltammo il capo cuciniere che ci disse quale sarebbe stato il nostro vitto e quanto avremmo ricevuto. Una piccola pagnotta di circa cento grammi di peso, per tutto il giorno, al mattino un gavettino di caffè fatto con il surrogato e, due volte al girono, del brodo chiaro con uno strano miscuglio di zucche, cavoli e cappucci in cui nuotavano alcuni risi e maccheroni. Poi, dopo qualche giorno vedemmo che il tutto, per quanto riguarda il valore calorico, era appena sufficiente per vivere a stento…. Moltissimi soffrivano di dissenteria, parecchi anche della forma sanguinante. Questo fatto causò la morte di alcuni fra i più deboli, già nei primi tempi…
Gino Baudi, uno dei soldati di guardia al campo di Gonars, ricordava che tutti i giorni arrivavano nel campo camion carichi di donne e bambini denutriti.

La bonifica etnica
Il campo di Arbe e l’enorme tragedia che si svolse, furono anche il risultato della concomitanza di più fattori: la fretta portata dal generale Roatta e le difficoltà economiche e organizzative del regime fascista e del suo esercito, imposero, in un primo momento, il ricovero forzato degli internati in piccole tende, spesso installate dagli stessi internati.
Con toni quasi profetici, il serinese tenente Giovanni De Filippis, in data 7 agosto 1942, metteva in evidenza le gravi conseguenze degli improvvisati affollamenti. Si legge in una sua nota, inviata al generale Orlando, comandante della Divisione Granatieri di Sardegna: Continuano, anche, su vasta scala, gli internamenti delle popolazioni sia a scopo protettivo che a scopo repressivo… La città di Lubiana conta circa 80.000 abitanti; di quegli la metà sono donne. Dei 40.000 maschi sono state prese in considerazione le classi dai 16 ai 50 anni, cioè 34 classi … Con l’arresto di 2.858 individui e con quello avvenuto nel periodo precedente di altri 3.000 individui, si è tolto dalla circolazione altre il quarto degli uomini validi di Lubiana…
Mentre migliaia e migliaia di italiani (per il solo fatto di essere ebrei o civili o soldati che si erano rifiutati di aderire alla repubblica di Salò), venivano rastrellati, arrestati, e condotto nei vari campi di sterminio nazisti, ai confini con la Jugoslavia si consumava un’altra tragedia, tutta italiana. L’internamento di massa di donne, di vecchi e bambini, oltre che di uomini di tutte le categorie, fu sicuramente uno degli strumenti per attuare una simmetrica direttiva governativa, applicata ai massimi livelli dal nostro esercito in Jugoslavia.
Tra le molte voci, tutte struggenti, ne abbiamo individuata: le famiglie che non sapessero o non volessero dare notizie dei loro congiunti, vanno arrestate in massa e tradotte nei campi di concentramento, confiscando i loro beni… Fu Mussolini a dare un ordine del genere? L’ordine ricevuto dal generale Roatta fu quello di concentrare nei vari campi allestiti circa 30.000 persone della sola provincia di Lubiana.
Il 24 agosto 1942, l’allora Ministro degli Interni impartiva al Roatta raccapriccianti possibili alternative: Il problema della popolazione slovena può essere risolto nei seguenti modi: a- distruggerla; b- trasferendola; c- eliminando gli elementi contrari, attuando una politica dura, però di giustizia e di avvicinamento, onde creare le basi per una proficua e leale collaborazione prima e possibilità di assimilazione poi, che però solo col tempo si potrà realizzare. Occorre quindi stabilire quale linea di condotta si intende seguire. Per l’internamento in massa della popolazione procedere secondo il piano prestabilito, eccetera.
Ma nello stesso 1942 il maggiore Lombardi del gruppo carabinieri dell’XI Copro d’Armata pose al governo un problema non di poco conto: E’ necessario tener presente, scriveva Lombardi, che ove fossero ritenuti necessari provvedimenti di vasta portata (internamento di tutte le famiglie in campi di concentramento, sgombero generale delle popolazioni, deportazioni degli uomini validi per evitare che essi vengano costretti ad arruolarsi nelle bande) occorre tutta un’attrezzatura in mezzi di trasporto, viveri, locali, ecc., che in atto manca completamente.
La stessa Croce Rossa, Ufficio prigionieri di guerra, in data 27 marzo 1943, faceva presente di non conoscere l’ampiezza di questa ulteriore tragedia umana. Leggiamo in questa nota: …le informazioni circa la nazionalità degli internati, le liste degli internati stessi e la loro dislocazione nei diversi campi, prevengono saltuariamente e fino a tutt’oggi, l’Ufficio non possiede un elenco completo dei campi e degli internati.
Per valutare complessivamente le cifre parziali e contraddittorie che pur emergono da queste poche testimonianze, ci piace ricordare ciò che il delegato apostolico a Washington, Cicognani, il 4 agosto 1943, scriveva al cardinale Maglione: Per mezzo di S. E. Taylor questo Ambasciatore Jugoslavia supplica Santa Sede intervenire presso nuovo governo italiano per migliorare condizioni circa 100.000 jugoslavi internati in Italia, sprovvisti di alimenti et vesti. Loro mortalità parrebbe ascendere media 300 ogni giorno… Dati scioccanti!
Chiudiamo con la testimonianza di uno dei sopravvissuti del campo di Gonars, che meglio ci riassume l’intero dramma.
Il 5 dicembre 1942 sono stato portato a Fiume e da qua in treno a Palmanova. Da Palmanova in camion chiusi ci hanno portati nel campo di concentramento di Gonars. Siamo arrivati alle prime ore del mattino. Era una giornata molto fredda, pioveva, cadeva una pioggia gelata e quando siamo arrivati alla baracca numero 6 non riuscivamo a credere che saremmo stati asciutti perché a Rab vivevamo in tende in condizioni di esistenza impossibili, i teli della tenda erano bucati, vecchi. Sentivamo il battere della pioggia fredda sul tetto. Le baracche erano fredde, grandi per poter accogliere 175 persone. Nel campo di concentramento di Gonars sono rimasto 10 mesi fino al 18 settembre 1943 quando a piedi siamo andati verso casa dove siamo arrivati dopo una settimana, il 27 settembre. Siamo arrivati nel paese bruciato. Non abbiamo visto bruciare il nostro paese ma quando siamo tornati abbiamo visto solo i camini stagliarsi verso il cielo…
Cfr., La deportazione dei civili sloveni e croati nei campi di concentramento italiani: 1942-1943, I campi del confine orientale; A cura di Boris M. Gombac e Dario Mattiuss.

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